domenica 21 aprile 2024

Suzume (2022) | Recensione

Suzume
Voto Imdb: 7,6

Titolo Originale:すずめの戸締まり, Suzume no tojimari
Anno:2022
Genere:Animazione, Avventura, Commedia, Fantastico
Nazione:Giappone
Regista:Makoto Shinkai
Cast:Nanoka Hara, Hokuto Matsumura, Eri Fukatsu


Suzume, Souta e la porta

Scusate l'assenza. Troppe cose, troppi impegni. Ma mi sembra giusto e doveroso continuare l'analisi in dettaglio del lavoro di Makoto Shinkai, soprattutto ora che è disponibile anche su Netflix e non avete più scuse per ignorarlo!

Eh. Lo attendevo al varco, il suo nuovo lungometraggio. Ho passato il tempo a domandarmi: “Che percorso intraprenderà Makoto? Resterà nella comfort zone o questa volta proverà a fare un salto?” per poi arrivare a questa, la domanda delle domande, anzi la domandona: “È dunque arrivata la Grande Svolta?”

Rispostona: ci ha provato, sì. Ma ci è riuscito solo a metà. Portando a casa un film comunque godibilissimo, più maturo, e che merita a mio avviso un voto elevato, sicuramente più di Weathering with You, ma di questo confronto - così come di quello con Your Name - ci arriveremo più avanti. Non ho citato gli ultimi titoli per caso, perché idealmente potremmo considerarli una sorta di trilogia, più precisamente la Trilogia della Catastrofe. Tre modi diversi di raccontare una storia con molti punti in comune e con finali apparentemente simili nonostante l’ultimo lavoro tenti un approccio più maturo ma non per questo meno scanzonato, almeno nella prima parte.

Sì ok, tanti giri di parole per non dire nulla: di cosa parla Suzume? (titolo originale: Suzume no tojimari, lett. "Le porte chiuse di Suzume" o "Suzume che chiude le porte", cit. Wikipedia)

Il primo portale nel villaggio termale

Tramona!

Curioso notare come cambiano i protagonisti nella Trilogia della Catastrofe: In Your Name sono una coppia; in Weathering with you è un ragazzo; per forza di cose e per differenziarsi, in Suzume è una ragazza diciassettenne orfana che vive insieme alla zia Tamaki, una quarantenne single che ha passato gli ultimi 12 anni a prendersi cura della figlia della sorella morta in circostanze tragiche che scopriremo in uno dei momenti rivelatori della trama. Suzume è una di noi e sembra non avere particolari poteri o abilità, vive una vita tranquilla nella prefettura di Miyazaki - profondo sud del Giappone - in una cittadina abbastanza rurale e lontana dalle frenetiche metropoli moderne. Un giorno Suzume incrocia un bel ragazzo che le chiede indicazioni su dove si trovino delle antiche rovine; la ragazza gli risponde e, mossa da curiosità, prova a seguirlo. Quando arriva al centro del villaggio abbandonato, nota una porta solitaria ergersi nel mezzo del nulla, sorretta solamente dal telaio. Incuriosita, prova ad aprirla e vede una volta celeste che avvolge un luogo indefinito circondato da prati verde smeraldo e stelle luminosissime. Suzume prova più volte a entrare in questo mondo, così simile a un ricordo o, meglio, a una visione che si porta dietro da quando era piccola: l’immagine di una bambina di quattro anni, sotto proprio quella volta celeste, che piange e corre affannosa alla ricerca della madre fino a quando non la scorge: una figura rassicurante, sorridente, ma avvolta dalla nebbia del ricordo. Suzume si riconosce in quella sequenza enigmatica, è lei a quattro anni, sola e disperata. Ma niente, quel posto rimane inaccessibile e a malincuore la ragazza è costretta a desistere. Torna a scuola ma poco dopo arrivano segnalazioni di un imminente terremoto mentre proprio dal punto in cui si trova il villaggio abbandonato si innalza una enorme, stranissima figura che sembra un verme rossastro di fumo, che solamente lei è in grado di vedere. Suzume non ci pensa due volte: nel mezzo delle scosse di terremoto sempre più vibranti sfreccia verso il villaggio termale e, quando lo raggiunge, scopre che l’enorme verme rossastro sta cercando di uscire proprio dalla misteriosa porta che il ragazzo incontrato in mattinata sta disperatamente provando a chiudere. La ragazza lo aiuta e la porta viene chiusa accompagnata dalle frasi di un arcano rituale sussurrato. Nell’azione concitata di poco prima, il ragazzo si è ferito al braccio e Suzume lo accoglie a casa sua per curarlo. Qui viene svelata una prima parte di verità: lui si chiama Souta ed è un “Chiudiporte”, ruolo che la sua famiglia ricopre da generazioni. Il “Chiudiporte” ha l’ingrato compito di trovare in giro per il paese questi esseri di fumo, generato dalle anime, dal risentimento, dalle emozioni negative delle persone, per respingerli nel loro mondo attraverso le "porte", veri e propri passaggi dimensionali. Mentre Suzume e Souta stanno parlando, nell’appartamento compare un gatto bianco che inizia a parlare la lingua degli umani! L'essere è una sorta di divinità guardiana dei portali e, prima di dileguarsi nuovamente, dice a Souta di essere di intralcio e gli lancia una maledizione trasformandolo nella sedia rotta a tre gambe su cui si era seduto. In una scena assurda ed esilarante, il gatto scappa via per il paesino, inseguito da Souta tramutato nella sedia a tre gambe e da una stupefatta Suzume. Ma niente da fare: il gatto sale su un traghetto, sempre inseguito dal bizzarro duo, per poi dileguarsi e ricomparire nella città di Ehime, catturato dalle fotografie dei passanti che lo eleggono subito a star dei social, affibbiandogli il nome di Daijin (“ministro” in giapponese). C’è solo un modo per far ritornare Souta umano e scoprire la verità su Daijin: inseguire il gatto-demone per tutto il Giappone! Inizia così un lungo viaggio che Suzume compirà insieme a Souta trasformato nella sedia-ricordo, elemento che servirà a regalarci scene buffe in grado di alleggerire notevolmente l’atmosfera. Da sud a nord, il duo farà diverse tappe, guidate a distanza da Daijin, passando per Tokyo e spingendosi ancora oltre. Lungo il viaggio Suzume farà amicizia con diverse persone altrettanto pure di cuore che troveranno il modo di aiutarla a superare le difficoltà. Cosa troveranno la ragazza e la sedia alla fine del viaggio? Cosa lega Suzume ai suoi ricordi di bambina, alla mamma, al gatto-demone, ai “vermi” in grado di provocare i grossi terremoti del Giappone? Lungo le sue due ore piene, il film cerca di dare una risposta a tutte queste domande e, talvolta, generandone di nuove senza soluzione.


Lo spirito Daijin: non è terribilmente kawaii?

Commento
Il film Suzume parte come una commedia (spruzzata di romanticismo), si evolve in un road movie, e sfocia nell’avventura soprannaturale. Ho deciso di raccontarvi in dettaglio il primo quarto d’ora perché c’è la summa di TUTTO Shinkai in ogni fotogramma. È come se avesse preso i suoi cliché e li avesse rimescolati generando un qualcosa di nuovo ma che comunque ci restituisce una dolce sensazione di già visto. Ce lo vedo, il Makoto, a provare a prenderci per mano e dirci: “Ti faccio fare un nuovo viaggio, ci saranno tante novità ma se hai paura dell’ignoto non preoccuparti! Se io ti sono piaciuto con gli altri film, gli elementi che già conosci sono presenti anche qui. Sei nella tua comfort zone.”

E qui, amici miei, squillano diecimila campanelli d’allarme.
Io non sono nella mia comfort zone, Makoto. Sono nella tua.
Quanto vi ho smarronato in Weathering with You con questo concetto? Tantissimo, forse più del dovuto. E lo stesso avviene anche qui. Vi dirò di più, con questa dichiarazione forte: Suzume è un Agartha 2.0 più maturo e meno sconclusionato, è un “Caro Hayao Miyazaki, là fuori continuano ad accostarci; è vero, prima ti ho scimmiottato ma ora sto provando a percorrere la strada con i miei (tre) piedini”. Però lo fai con il tuo solito stile, Makoto. Non parlo di quello visivo, col quale mi hai conquistato fin da subito e a causa del quale io casco in pieno nel tuo maledetto incantesimo, tutte le fottutissime volte. Parlo della tua idea, del tuo percorso, del modo con cui ci porti in viaggio. Anche se stavolta qualche elemento nuovo, per fortuna, davvero c’è.


Una simpatica rissa tra Souta (in modalità sedia) e Daijin


La poetica di Shinkai attraverso le immagini.
Partiamo dal punto forte del film, quello che tutti aspettiamo quando leggiamo il nome di Shinkai sulla locandina: l’aspetto visivo. Lo confermo, anzi lo grido ai sette venti: tecnicamente l’asticella si è innalzata ulteriormente. Il film è una gioia per gli occhi, un tripudio di colori, di fondali strepitosi integrati con la CGI, di disegni particolareggiati che restituiscono un mondo vivo, realistico, quasi tangibile. Lo studio delle inquadrature è ottimo, tutto è chiaro e finalizzato alla totale immersione dello spettatore nell’atmosfera. Sì, dieci volte sì: Suzume è un vero spettacolo. I giochi di luci e di ombre raggiungono livelli strabilianti, lo dico in quanto totalmente conquistato dall’impianto visivo; solo un aspetto stona tantissimo, si tratta dei vermi rossi in CGI, soprattutto l’ultimo: davvero un pugno nell’occhio che poco si amalgama con il resto degli sfondi. Per fortuna stiamo parlando di minuzie.

Tirato un sospiro di sollievo, passiamo agli altri aspetti che ci stanno a cuore. La poetica di Shinkai, come recita il titolo del paragrafo, è quella di sempre. C’è una storia d’amore, che qui è solo un mezzo, un pretesto per giustificare alcune scelte ma non è il centro motore del film; ci sono i treni - addirittura in una bellissima inquadratura vediamo uno Shinkansen che supera di slancio un treno più vecchio, destinato alle regioni meno metropolitane del Giappone. Ci sono gli uccelli in più inquadrature. C’è un gatto, anzi (spoiler!) due, che avranno un ruolo centrale per lo svolgimento della trama. C’è la fusione tra il mondo reale e quello fantastico, una specie di aldilà rivisitato secondo una concezione molto vicina a quella shintoista. C’è la colonna sonora pop dei Radwimps, c’è la pioggia, c’è la malinconia rappresentata dai quartieri abbandonati nei quali albergano le porte di comunicazione tra i mondi. C’è la spiritualità e l’allegoria come mezzo per veicolare un messaggio, c’è di nuovo un accenno all’incomunicabilità, questa volta data dal rapporto tra una ragazza e una sedia parlante.

Ma stavolta abbiamo qualcosa di più, che è l’aspetto più interessante del film ma che, purtroppo, ne è anche un po’ il punto debole. Ed è proprio il messaggio che Makoto ha voluto lasciare agli spettatori.

Suzume parla principalmente della elaborazione del lutto della protagonista come mezzo per mostrare un Giappone fragile, che ancora non ha chiuso i conti con gli avvenimenti del 2011: il terremoto del Tohoku, il conseguente tsunami e la catastrofe di Fukushima. Anche se i nomi dei luoghi non sono mai stati rivelati esplicitamente (la butto lì: forse per paura di urtare i giapponesi, popolo notoriamente conservatore che non ama gli si spiattelli in faccia i momenti bui del suo passato?), le date e i riferimenti sono precisissimi e parlano di un qualcosa di reale, di accaduto. Ecco quindi che Shinkai prova a spingersi un po’ più lontano rispetto ai canoni a cui ci ha abituato; così come in Weathering with You era stato il finale - o meglio, la scelta del protagonista - a fornire un interessantissimo elemento di rottura con i cliché giapponesi, in Suzume assistiamo non tanto a un grido quanto a un sommesso richiamo alla paura che la terra del Sol Levante è chiamata a esorcizzare ogni giorno. C’è però un problema di fondo in tutte queste belle parole: Shinkai ha sì osato, ma è tutto rimasto superficiale, accennato, dato in pasto alla mano di una Suzume di 4 anni che cancella con un pastello nero come la pece le pagine del diario relative a quelle date. Non c’è un reale approfondimento, non ci si addentra in spiegazioni o in un'esposizione dal punto di vista del regista; semplicemente, ci viene mostrata una spennellata lasciando a noi il compito di interpretare e metabolizzare. E questa superficialità di fondo è, lasciatemelo dire, un ennesimo marchio di fabbrica del regista, che ormai ho imparato a conoscere. Nelle recensioni dei film precedenti ho più volte lanciato un appello affinché trovasse la forza di compiere un vero passo in avanti, ma alla fine ho capito cosa aspettarmi. Questo è il suo stile, questo è il suo modo di raccontarci qualcosa, facciamocene una ragione; molto probabilmente se non fosse così non sarebbe nemmeno Makoto Shinkai.

Serizawa e la zia Tamaki

Prima di elencare cosa non funziona nel film, fatemi sottolineare gli altri punti di forza. Alcuni personaggi sono caratterizzati meglio di altri e, aggiungo, per fortuna. La prima è Suzume, sul cui punto di vista e sulle cui spalle si poggia quasi l’intera narrazione (tranne un'intera sequenza dedicata a Souta, e tranne qualche veloce pezzo riguardante la zia). Parte come una ragazza normale, con i suoi problemi quotidiani e la timidezza tipica di una diciassettenne, nonostante sia stata costretta a crescere prima degli altri coetanei a causa della sua condizione di orfana. Nel corso del viaggio assistiamo a una sua maturazione che la porta inevitabilmente a scendere a patti col suo passato. Altri personaggi azzeccatissimi sono la zia Tamaki e Serizawa, il migliore amico di Souta. Tamaki è una quarantenne single e ha dedicato gran parte della vita a crescere Suzume, mettendo da parte l’egoismo e la voglia di fare qualcosa per se stessa. Per quanto costretta dagli eventi, quella è stata una sua scelta che, talvolta, rimpiange tanto che in prossimità del finale assistiamo a uno dei momenti più toccanti dell’intera narrazione. Serizawa invece ha molto meno spazio, ma nelle poche battute a sua disposizione si dimostra essere un personaggio più sfaccettato, unico, completo di Souta - tanto per fare un esempio. E l’aggancio col bel tenebroso mi permette di evidenziare i punti deboli del film.

Souta

Il primo, l’avrete intuito, è proprio Souta. Al di là del fatto che richiami in modo più o meno esplicito Howl del lungometraggio di Miyazaki Il castello errante di Howl, il problema del Chiudiporte è il non avere nulla di interessante o che non sappia di già visto. Monodimensionale, senza la minima crescita, con una missione da compiere e il solito, enorme senso del dovere e del sacrificio tipico del “soldato” giapponese - passatemi il termine, qui non c’è nulla di militare ma in fondo si sta combattendo una guerra contro le paure di una nazione intera. Inoltre, l’intera storia d’amore che fa muovere Suzume è forzatissima, non c’è il minimo approfondimento; semplicemente la ragazza ha un colpo di fulmine alla prima vista del ragazzo, e da quel momento lui diventa il grande amore della sua vita, che ne condizionerà le azioni e le decisioni. L’occasione del viaggio avrebbe potuto fare da scusa perfetta per mostrarci un’evoluzione del loro rapporto ma il regista ha preferito mostrarci altro. La love story, per quanto sia fondamentale per spiegare alcuni passaggi di trama, è troppo abbozzata e superficiale per ricoprire un ruolo centrale. Il che di per sé non è un male, ma sarebbe forse servito un equilibrio maggiore. E infine, l’ennesimo tasto dolente, la sceneggiatura. Purtroppo sto iniziando a rinunciarci rassegnato all’idea che Shinkai non cambierà da questo punto di vista. In particolare mi hanno fatto storcere il naso un paio di snodi narrativi importanti dove è solo il CASO a smuovere la storia e questo, francamente, nel 2023 è abbastanza inaccettabile. Poi ho poco apprezzato alcuni passaggi abbastanza confusi e raffazzonati come per esempio il ruolo del secondo gatto-demone, che avrebbe meritato un approfondimento maggiore. Chiaro che poi il film sarebbe durato tre ore invece che due, capisco che alcune scelte dolorose siano state inevitabili ma, di nuovo, un migliore bilanciamento tra le fasi narrative non avrebbe guastato.

L'attacco a Tokyo

Siamo quasi giunti alle considerazioni finali, mancano giusto ancora un paio di piccole sottolineature: il rapporto di Shinkai con due delle sue principali fonti di ispirazione, Miyazaki e Murakami. Il regista l’ha fatto da tempo, ma qui più che mai, ha gettato la maschera manifestando in modo esplicito tutto il suo amore per il cinema del Maestro Hayao Miyazaki di cui è più che debitore. Qui due richiami sono addirittura smaccatamente espliciti: quando Daijin viene fotografato e dato in pasto ai social, qualcuno scrive: “Sembra di essere in I sospiri del cuore” (Mimi wo Sumaseba); più avanti, durante il viaggio in auto in cui si sono aggiunti Serizawa e Tamaki, sull’autoradio si sente la canzone di Kiki Delivery Service. Ma i richiami non finiscono certo qui: Souta è chiaramente Howl e, come accennato all’inizio, Suzume e la zia vivono in una cittadina della prefettura (reale) di Miyazaki. Poi altri rimandi meno evidenti ma tipici di entrambi i registi: la natura e il rapporto dell’uomo, la dicotomia modernità / tradizione, bestie sovrannaturali, gatti parlanti e dispettosi, né buoni né cattivi… eh sì, potrei essere smentito ma ho l’idea che Suzume possa essere il film più miyazakiano di Shinkai, di sicuro il suo atto d’amore più esplicito, ancora più di Agartha.
Per quanto riguarda Haruki Murakami, Makoto lo dice chiaramente in più di un’intervista: tra le sue fonti di ispirazione troviamo il più volte citato “Kafka sulla spiaggia”, uno dei romanzi di Murakami più citato e saccheggiato dal Nostro; e soprattutto il racconto illustrato “Ranocchio salva Tokyo”, in cui il signor Katagiri riceve una visita da un ranocchio gigante che gli rivela che Tokyo è in pericolo: il Gran Lombrico che vive nelle fondamenta della città sta per scatenare un enorme terremoto e solo il signor Katagiri, un signor nessuno, una persona normale senza apparenti qualità, è in grado di aiutare Ranocchio a compiere l’impresa e salvare Tokyo; perché proprio lui? Perché è un puro di cuore. Magari Suzume non ha esattamente quella caratteristica per quanto ancora ragazzina e in un certo senso immacolata e non corrotta, ma lo possiamo certamente intuire. Quello che non cambia è il background da cui Shinkai continua allegramente a saccheggiare, d’altronde Haruki Murakami ha segnato intere generazioni - la mia e quella di Shinkai soprattutto - ed è meraviglioso che qualcuno finalmente lo tributi come merita, in un’opera mainstream e di ampio respiro.

Suzume, Tamaki, Daijin e Sadaijin

Suzume - il finale e l’inevitabile confronto con Your Name e Weathering with you
CUCCIOLATA DI SPOILER COME IN UNA COLONIA DI GATTI

Due aspetti vanno secondo me spiegati per dare un giudizio sul film.

I gatti-demoni.
Oggettivamente c’è poca chiarezza sulla figura di Daijin e, soprattutto, Sadaijin, il secondo gatto-demone che fa la guardia alla porta di Tokyo e che compare intorno a tre quarti di narrazione. Chi sono? Cosa vogliono veramente? Innanzitutto non possiamo catalogare Daijin come buono o cattivo; come la tradizione nipponica ci insegna, le divinità non hanno necessariamente una divisione manichea tra buono e cattivo, anzi spesso ricoprono tutto lo spettro delle aree grigie che ci sono in mezzo. Se volessimo usare un termine caro a chi gioca di ruolo con AD&D, potrei definire Daijin un essere caotico neutrale: sembra bizzoso e dispettoso, ma è carinissimo, persegue i suoi scopi - qualunque essi siano - incurante delle conseguenze e, nonostante tutto, gira per il Giappone guidando Suzume da una porta all’altra, come se volesse metterla alla prova. Forse lo fa per un tornaconto personale (più volte afferma di volere l’amore della ragazza), o forse lo fa proprio per amore di Suzume, spingendola oltre i suoi limiti. In quest’ottica Daijin è in realtà una parte fondamentale del percorso di crescita che la ragazza intraprende. Il demone una cosa sola voleva: smettere di fare il guardiano (infatti scappa via non appena la ragazza lo libera inavvertitamente) e ricevere amore da Suzume stessa. Se poi combina disastri, beh, quella è solo una irrilevante conseguenza del suo desiderio. Quando il demone non si sente accettato diventa grigio, magro, brutto e con gli occhi colmi di odio; ma quando Suzume lo abbraccia, ecco che ritorna bianco, cotonato, sorridente e miagolante. Saidaijin, che secondo il principio dello Yin & Yang è nero quasi a contrapporsi a Daijin, è più grande e più forte; in più è in grado di trasformarsi in un essere ancora più grande che richiama fin troppo palesemente la Maschera Bianca che compare in Ushio & Tora (d’altronde entrambe le opere vanno a pescare nella stessa mitologia). Non sappiamo in realtà chi lo abbia liberato dalla condizione di pietra-sigillo (una velocissima sequenza sembra suggerire fosse stato addirittura il nonno di Souta in passato - ma è solo una mia supposizione) e, tanto per aggiungere un po’ di pepe, Sadaijin sembra addirittura più malvagio, tanto che è sotto il suo influsso che la zia Tamaki vomita addosso a Suzume parole colme di frustrazione, risentimento, accusa per quello che lei ora è a causa della nipote, e per quello a cui ha dovuto rinunciare per troppo amore. E di fronte a questo sfogo così duro, doloroso ma aperto, la ragazza, ormai adolescente e in aperta ribellione, rivendica una propria libertà, urlando alla zia che in fondo quella è stata una sua scelta di cui non ha alcuna colpa. Ecco, questa sequenza per me è una delle più belle del film perché ha messo a nudo due persone reali, e le ha ulteriormente avvicinate. Cosa spinga Sadaijin ad agire in questo modo non ci è però noto. Ma quello che possiamo affermare è che Daijin e Sadaijin sono un mezzo grazie al quale Suzume compie un enorme balzo in avanti nel suo percorso di crescita. Che però non può definirsi compiuto se prima non scende a patti con la straziante sensazione di abbandono dovuto alla perdita della madre da bambina.

Pioggia... poteva forse mancare?


L’elaborazione del lutto
Il film Suzume non è quindi una vera storia d’amore come lo è stato Your Name o Weathering with You; la relazione con Souta, l’affrettato e per me troppo raffazzonato colpo di fulmine per il ragazzo è solo un pretesto per muovere gli ingranaggi. Suzume è sì una storia del genere coming-of-age, è sì un road-movie, ma è principalmente un racconto dolce sulla elaborazione del lutto. Le sequenze oniriche in cui la ragazza crede di parlare con la mamma morta durante il terremoto del 2011 chiudono il loro cerchio durante il confronto finale dove scopriamo che la persona che parla alla piccola di quattro anni non è che la Suzume diciassettenne di “oggi” che parla alla se stessa di “ieri”. È solo in questo momento allegorico che la protagonista scende a patti con il passato, e tutto si aggiusta come dovrebbe essere nel più scontato ma voluto dei lieto fine. Mai una volta ho avvertito il senso di pericolo durante gli scontri con i vermi rossi, mai una volta ho dubitato della riuscita del viaggio di Suzume; quello che a prima vista potrebbe essere visto come il più banale dei lieto fine, se lo vediamo nell’ottica del messaggio che Shinkai vuole lanciare ai suoi concittadini, tutto secondo me cambia di prospettiva. È il Giappone che, pur rispettando e venerando il proprio passato, deve andare avanti pensando al presente e al futuro. Il lieto fine è quindi un messaggio di speranza col quale mi trovo totalmente d’accordo nonostante, a livello più superficiale, avrei preferito una conclusione magari non tragica ma certamente più dark, più d’effetto che non credo sarebbe stata accettata con altrettanto entusiasmo dall'orgoglioso popolo giapponese. Purtroppo questo è lo scotto che devi pagare quando finisci col fare un prodotto mainstream: non dipendi più da te stesso e dalla tua volontà di essere Autore con la A maiuscola, ma ti adegui a quello che gli altri si aspettano da te. 

Alla luce di quanto ho esposto in precedenza, c’è poco da aggiungere alle considerazioni sul vero finale, perché quello che interessava a me era la fine del percorso di crescita di Suzume, ma non posso fare a meno di rilanciare con questa affermazione roboante: di cosa sarebbe successo tra lei e Souta non mi importava un beneamato fico secco. Il finale è però quello che serve per chiudere i capitoli riguardanti i due gatti-demone e la visione dell’aldilà: ebbene sì, tutto è collegato, tutto ha un senso. Suzume, per venire a patti con sé stessa, deve tornare nel posto dove tutto era cominciato, la porta che doveva aver varcato quando era piccola dopo la perdita della madre. Ed è lì che Daijin la condurrà, a conclusione del viaggio. Una tappa forzata prima dell'arrivo sarà l'inevitabile scontro finale con un super-verme di fumo, e lei potrà farlo grazie all'aiuto di Souta e dei due spiriti guardiani. È all'apice della grande battaglia che avviene il momento catartico e rivelatore; Suzume compie altri passi nel mondo dell’aldilà e finalmente incontra la se stessa di quattro anni in lacrime, incapace di accettare la morte della madre. Per rincuorarla le dona la sedia a tre gambe, consigliando di tenerla stretta: sarà questo ricordo della mamma a darle la forza di andare avanti. Risolta la grande crisi, Suzume e Souta tornano nel mondo reale e insieme alla zia Tamaki e a Serizawa compiono il viaggio a ritroso; a Tokyo i due ragazzi si separano con la promessa di incontrarsi nuovamente un giorno. Mesi dopo, nel villaggio della prefettura di Miyazaki la stessa Suzume in bicicletta scorge in lontananza un ragazzo: toh! È Souta, che è tornato da lei… questa volta, forse, definitivamente.

Come è facile desumere dal racconto, in Suzume la narrazione ha una struttura molto più circolare delle opere precedenti. Apparentemente è stato fatto un giro completo fino quasi a tornare al punto di partenza: è come se la storia della ragazza avesse seguito di pari passo l’andamento del viaggio, andata e ritorno. Però, riflettiamoci bene: un viaggio non è quasi mai fine a se stesso, è spesso un’occasione per crescere, migliorare, cambiare. Durante la grande avventura Suzume ha raggiunto uno scopo che l’ha portata ad accettarsi, trovare il suo posto nel mondo, trovare - forse - il grande amore. Se per farlo ha dovuto salvare il Giappone, beh, dai: è un dettaglio trascurabile. O no?

FINE SPOILER

Road movie, riflessi e lens flare!


L’edizione italiana
A differenza dei film precedenti, con Suzume c’è stato un enorme balzo in avanti per quanto riguarda la distribuzione internazionale: ad accaparrarsi i diritti per gli USA e Asia è stata Crunchyroll mentre per l’Europa si è scomodata Sony Pictures (comunque proprietaria di Crunchyroll) insieme alla tedesca Wild Bunch. In Italia Suzume è stato distribuito nei cinema da Sony Pictures Entertainment Italia a partire dal 27 aprile 2023. Niente più eventi di pochi giorni come il Nexo Digital, ma una distribuzione cinematografica a tutti gli effetti. Secondo Wikipedia, ha incassato 630.000 € staccando circa 85.000 biglietti. Un risultato discretto, tenendo presente quanto sia considerato di nicchia il cinema d’animazione giapponese qui in Italia. Ma ancora insufficiente, soprattutto alla luce di quanto ottenuto dal film di Miyazaki, "Il ragazzo e l'airone" che, sfruttando l'effetto traino dell'Oscar, ha registrato un incasso clamoroso di quasi 7.000.000 €, record assoluto per un film d'animazione giapponese nei cinema italiani. Buono il doppiaggio e l’adattamento italiano a cura della Dubbing Brothers International Italia. Dialoghi di Gian Paolo Gasperi con direzione del doppiaggio di Alessia Maria Bianchi. Voci di Chiara Fabiano (Suzume), Manuel Meli (Souta), Francesca Manicone (Tamaki). (info tratte da Antoniogenna.net - Il mondo dei doppiatori).

Conclusioni
Dai, coraggio, chiedetemelo: “Ti è piaciuto Suzume?”

Sì, perdiana, sì, tantissimo!

Credo e spero si noti, tanto che ho scritto un papiro mediamente più lungo del solito. Sapete cosa vuol dire questa cosa? Che il film mi ha colpito particolarmente. L’ha fatto a più livelli, dal più superficiale (quello estetico) al messaggio e alla storia della protagonista, più profondo e intimista. Con me, stavolta, Shinkai ha fatto centro. Purtroppo resta un film ancora imperfetto e poco bilanciato in alcune parti, troppo semplicistico in altre, poco profondo in definitiva - ma che ha saputo regalarmi degli spunti su cui riflettere. Ritengo Suzume assolutamente superiore a Weathering with you e quasi alla pari di Your Name. Questo perché a mio avviso stavolta Shinkai non si è preso gioco dello spettatore, ma l’ha accompagnato lungo un viaggio spettacolare, vivido. Probabilmente più freddo e didascalico del suo più grande successo, ma che val la pena di guardare almeno una volta.

Chiudo esternando un mio timore: dubito che mai avverrà la Grande Svolta, perché temo che Makoto Shinkai abbia raggiunto il limite oltre il quale difficilmente si spingerà. Dato che sono nato per essere smentito, lo attenderò alla prossima prova, si presume tra tre-quattro anni, e lì vedremo se la mia sarà una profezia o se avrò ottenuto lo stesso risultato di quando compilavo la schedina del Totocalcio (spoiler: mai fatto nemmeno un dodici, altro che tredici…)

Mettetevi comodi prima di leggere il pagellone!

IMPORTANTE: Una versione più lunga di questa recensione sarà presente in un e-book di prossima pubblicazione, che raccoglie l'intera mia monografia su Makoto Shinkai, con modifiche, aggiornamenti e nuovi paragrafi che completano l'opera. Restate sintonizzati!

 

Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 7
Storia semplice ma d’effetto. Fa presa, i personaggi sono ben caratterizzati (al netto di quanto già indicato in sede di recensione), ma ci sono dei punti nella sceneggiatura che proprio non mi sono piaciuti, ne cito due: la zia Tamaki che trova Suzume nel mezzo di Tokyo proprio in quel momento. Poco credibile, il caso NON può essere usato come scusa per muovere la trama. Il secondo è la comparsa di Sadaijin, che non viene spiegata: chi l’ha liberato dal ruolo di sigillo di guardiano della porta? Una freddezza di fondo e la solita superficialità non gli permetterebbero di raggiungere lo stesso punteggio di Your Name, ma voglio comunque premiare una raggiunta maturità del messaggio di fondo lanciato dal regista.
Musiche: 7,5
Segnalo il ritorno dei Radwimps alla terza collaborazione con Shinkai, questa volta con l’ausilio del compositore Kazuma Jinnouchi e con la voce della cantante Toaka per la canzone principale dal titolo… Suzume. Bella la colonna sonora, con alcuni omaggi a opere precedenti come il già citato Kiki Delivery Service o la sigla Yume no naka e di Le situazioni di Lui & Lei (Kareshi kanojo no jijō, 1999)
Regia: 9
Per quanto mi riguarda, Suzume si riprende rispetto a Weathering with you e torna alle vette di Your Name, senza superarle. Disegni strepitosi con l’ausilio di una CGI d’effetto e ben amalgamata (tranne un paio di punti con i vermi rossi su Tokyo, davvero un pugno nell’occhio). I personaggi hanno avuto un’animazione senz’altro migliore ma anche in questo caso il livello dello Studio Ghibli è a mio avviso lontano.
Ritmo: 8
Tra i film della Trilogia della Catastrofe, Suzume è sicuramente quello col ritmo più sostenuto, e non avrebbe potuto essere altrimenti data la sua natura ibrida di road-movie e avventura fantastica. Poche le pause, dettate più dal momento drammatico.
Violenza: 4
C’è poco da dire, si parla di morte ma senza mostrarla praticamente mai. Anche perché il tono generale dell’opera resta leggero.
Humour: 6,5
Incredibile a dirsi, nonostante il tema dell’elaborazione del lutto è un film fondamentalmente leggero con alcune gag indovinate, tutte concentrate sul rapporto Suzume-Souta in forma di sedia.
XXX: 1
Shinkai ci insegna a raccontare e mostrare una bella storia senza bisogno di inutile fan service.
Voto Globale: 8
Meglio di Weathering with you, appena sotto Your Name. Perché? Suzume è un film indovinato, assolutamente, ma pecca di eccessiva superficialità e, soprattutto, non entra nel cuore così come invece era successo con Your Name. Un’ottima prova in ogni caso, che merita di essere vista anche solo per vedere come gli anime possano essere considerati qualcosa di meglio di un settore di nicchia. In Italia siamo purtroppo lontanissimi ma nella stagione 2022-2023 ci sono tre film che a mio avviso meritano le luci della ribalta: Suzume, The Last Slam Dunk e Il ragazzo e l’airone. Quest’ultimo, guarda caso, di Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli. Opere secondo me superiori e lontane dai classici shonen che vanno per la maggiore, tra cui Demon Slayer che ha sbaragliato letteralmente ogni record di botteghino per un film anime a livello mondiale.

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