mercoledì 31 luglio 2019

Iron Sky: The Coming Race (2019) | Recensione

Iron Sky: The Coming Race
Voto Imdb: 5
Titolo Originale:Iron Sky: The Coming Race
Anno:2019
Genere:Fantascienza, Commedia, Azione
Nazione:Finlandia, Germania
Regista:Timo Vuorensola
Cast:Lara Rossi, Vladimir Burlakov, Kit Dale, Julia Dietze, Udo Kier

L'Ultima Cena dei Rettiliani... immagine suggestiva del film.
Non sempre, purtroppo, un budget maggiore è sinonimo di qualità superiore. Iron Sky: The Coming Race, seguito del primo Iron Sky - Saranno nazi vostri! (2012, recensito qui), ne è un perfetto esempio. Lo stavo aspettando da anni, sette per la precisione, e ci stavo sbavando copiosamente dopo che i primi trailer avevano iniziato a circolare, sapientemente diretti da Timo Vuorensola, lo stesso regista del primo film. Ma, ahimé, il risultato è stato davvero una dilusione di diludendo [cit. Joe Bastianich feat. Crozza]. Facciamo mezzo passo indietro per esporre ai neofiti di cosa stiamo parlando, perché siamo nel regno dei film low-budget a bassa diffusione nei circuiti nazionali ed internazionali e un minimo di spiegazione è quantomeno dovuta.
Correva l'anno 2012, quando nelle sale di alcuni paesi europei (Finlandia, Germania, Inghilterra e poche altre) uscì il primo Iron Sky, film nato da un progetto del 2006 e co-finanziato, tra i vari modi, anche attraverso piattaforme crowfunding grazie ad un gruppo di appassionati entusiasti. Il risultato diede ragione al finlandese Timo Vuorensola, regista nonché mente dell'intero progetto: recensioni relativamente positive, ottima risposta del pubblico e stato di cult guadagnato fra gli appassionati. Complice una scrittura intelligente e sarcastica, con la quale venivano messi alla berlina nazisti, americani, tedeschi, destrorsi e sinistrorsi, il film piacque parecchio ed era cosa ovvia et scontata, anche alla luce del finale pirotecnico, che prima o poi un seguito sarebbe arrivato.
Scene spaziali low-budget
E così è stato, fuori tempo massimo e con un budget enormemente più alto del predecessore, tanto che i produttori dovettero fare due campagne di crowfunding per racimolare i soldi necessari per chiudere almeno le riprese principali e la post-produzione. Ben sette anni sono passati dal primo film, e di acqua ne è passata sotto i ponti. Prima di addentrarci nei meandri della trama e delle conclusioni finali, io mi domando: caro Timo, ci hai fatto aspettare tutto questo bel tempo; te ne sei uscito con dei trailer che promettevano mari e monti (tutti ci ricordiamo Hitler-zombi a cavallo di un T-Rex, e un Gesù Cristo particolarmente incazzato), e poi il risultato finale è questa assurda, inconsistente accozzaglia di scene senza senso? La sensazione di essere presi per il culo non è più strisciante e, anzi, lascia il posto alla certezza quando iniziano a scorrere i titoli di coda e realizzi che alcuni nei personaggi inseriti nel trailer non sono nemmeno mai stati usati. (Gesù, appunto, ma anche Donald Trump... tanto che la frase di lancio del film era "Let's make Earth great again", palese presa in giro della campagna elettorale di Trump). Davvero, Iron Sky: The Coming Race è troppo brutto per essere vero e sembra non essere figlio della stessa produzione del predecessore... stento a crederci, eppure è proprio così.


Ecco cosa rimane della Terra dopo il finale del primo Iron Sky.
Trama! (con spoiler! Ma tanto non lo guarderete mai, che ve frega?)
La protagonista Obi Washington (Lara Rossi)
Dopo il catastrofico finale del primo Iron Sky, la Terra è diventata disabitata a causa delle radiazioni; i pochi umani sopravvissuti hanno trovato rifugio proprio su Neomenia, la base nazista sita sulla faccia nascosta della Luna, dando vita ad un miscuglio di coloni, nazisti e religiosi. La qualità della vita è pessima: gli abitanti vivono nel costante terrore che qualcosa vada storto e che la struttura prima o poi cada distrutta dai terremoti lunari, sempre più frequenti, o colpita da piogge di meteoriti. O autodistrutta dalla stupidità dei nazisti, chissà. La protagonista Obi Washington (Lara Rossi; stendiamo un pietoso velo sulla scelta del nome del personaggio), figlia di Renate Richter (Julia Dietze) e James Washington, è l'unica che si sbatte a tenere in piedi la struttura che sta cadendo a pezzi a causa dell'incuria, del menefreghismo e della povertà degli abitanti. Gli eventi subiscono una scossa quando sulla colonia piomba un'astronave di superstiti terrestri pilotata dal russo Sasha (Vladimir Burlakov); Obi vuole dare loro asilo mentre i Jobsisti, membri della setta devota al culto di Steve Jobs, ricchi ed elitari, sono contrari e chiedono l'espulsione dei profughi. Mentre si decide sul destino dei poveracci, Obi segue uno strano personaggio spuntato da nulla: questi non è altri che Wolfgang Kortzfleisch (Udo Kier) il Moon-führer nonché vecchio antagonista creduto morto, che le rivela di essere un Vril, antica razza di Rettiliani che colonizzarono la Terra ai tempi dei dinosauri. Kortz-coso regala ad Obi una speranza: un pezzo di Santo Graal in grado di curare e ringiovanire la madre Renate e la possibilità di raggiungere Agartha, la terra promessa nascosta nel nucleo della Terra, dove si sono rifugiati gli altri Vril ed unico posto in cui i terrestri possono rifugiarsi per sfuggire all'incombente distruzione della colonia sulla Luna. Illusa dalle infide parole del gerarca nazista, Obi, aiutata da Sasha, dall'amico Malcolm (Kit Dale) e dal guru dei Jobsisti Donald (Tom Green) vola in direzione di Agartha, dove scopre che i più grandi ed efferati criminali della storia terrestre erano in realtà dei Vril mascherati da umani: Adolf Hitler (sempre Udo Kier), Mao, Stalin, un Papa, il Presidente degli Stati Uniti Sarah Palin, Mark Zuckerberg, Margaret Thatcher, Bin Laden, Caligola ed altri che nemmeno mi ricordo più. La faccio breve: si scatena una gran bel bordello, Obi recupera il Graal, ritorna alla base inseguita dal rettile-Hitler, c'è qualche combattimento-parapiglia assortito, muoiono un po' di personaggi a caso, i superstiti vengono salvati grazie al colpo di genio di Sasha che riesce ad usare l'indistruttibile Nokia 3310 come trojan per effettuare un hack all'iPhone di Donald e che innesca una mega autodistruzione dell'astronave Vril. Eh? Ci avete capito qualcosa? No? Pazienza, in questo punto del film mi sono addormentato e sto cercando di ricostruire quello che ricordo, in pratica una ciolla di niente. Beh, alla fine Obi, Sasha e i terrestri buoni riescono a sconfiggere i nazisti ed iniziano un lungo viaggio in direzione di Marte, altro pianeta dove potrebbero trovare rifugio. Senza sapere che... OH MIO DIO CHE IDEONA NON CI AVEVA MAI PENSATO NESSUNO! sulla faccia nascosta del Pianeta Rosso c'è una base segreta sovietica con tanto di falce e martello ad illuminarla.


Uno dei momenti più attesi... Hitler in versione rettiliana.
Considerazioni sparse
I buffoni Jobsisti, devoti al culto di Steve Jobs
Ok, quanto ho vi ho appena esposto è un vero troiaio e ammetto placidamente di non essermi impegnato per renderlo più intellegibile. Ma è giusto e sacrosanto che dobbiate anche voi provare quella strana sensazione di non capire un cazzo nonostante l'apparente semplicità della situazione contingente. Ma al netto del paragrafo volutamente confusionario, concorderete con me su quale sia il vero, grosso problema di Iron Sky 2: una sceneggiatura inutilmente farraginosa, con situazioni inserite a forza senza un minimo criterio, alcune premesse accennate e poi dimenticate (tipo il Putin che compare all'inizio del film) e, in definitiva, una generale piattezza dei dialoghi e dell'inventiva. Là dove il primo Iron Sky aveva colpito e divertito grazie alla scrittura intelligente della sceneggiatura, qui il seguito naufraga ignobilmente soffocato dalle nefandezze appena descritte, solo perché il regista ha preferito concentrarsi sugli effetti speciali e sulla scenografia, aspetti per i quali non si è certamente risparmiato. Peccato che il risultato sia davvero disastroso: a scrivere gli infelici dialoghi è stato chiamato Dalan Musson, sconosciuto amico di Timo. Lo ripeto: sette cazzo di lunghissimi anni, dove avevate tutto il tempo di tirare fuori il meglio dalle idee folli che avevate in mente, aiutati fra l'altro dal gruppo di appassionati co-finanziatori, e siete riusciti a tirare fuori questa merda fumante? No, davvero, i miei più vivi complimenti, devo riconoscervi che non era facile bruciarvi il credito che vi eravate guadagnati, ma ci siete riusciti col botto.
Ma insomma, in questo film si salva qualcosa?
Sì, ma è poca roba in confronto allo sconfortante tedio che avvolge durante la visione; i diciassette milioni di euro di budget se ne sono quasi tutti andati in effetti speciali ed, in effetti (ahr ahr ahr gioco di parole, ahr ahr ahr), i risultati sono buoni anche se non fanno più gridare al miracolo. Iron Sky, pur con un budget più ridotto, aveva senz'altro colpito di più. Lo stesso Kung Fury (2015, al link c'è il film completo e ufficiale su YouTube, che vi consiglio di guardare), altro fulgido esempio di film low-cost indipendente nato quasi tutto dalla mente di una sola persona, David Sandberg, risulta visivamente superiore. Invece qui gli attori sembrano poco convinti nonostante l'encomiabile impegno di Lara Rossi; ma nel suo caso, è proprio il personaggio Obi a non funzionare; irritante, odioso e poco empatico, totalmente fuori parte non tanto per l'attrice quanto per l'inefficace costruzione del personaggio. Non si salvano nemmeno i comprimari, ridotti a macchiette inutili. Giusto Udo Kier, nel doppio ruolo di Kortz-kakkien e di Hitler, gigioneggia... ma ha poco minutaggio per poter reggere l'intero film sulle sue spalle. Purtroppo.


Una delle cose più belle del film: artwork che nel film non compare...
Scene da ricordare!
  • Un Jobsista viene giustiziato dal guru Donald perché ha compiuto il peggiore dei crimini: il jailbreak del suo iPhone. Questa scena in effetti è stata carina, ma purtroppo si regge su una serie di citazioni e battute già fatte in precedenza e che, in parte, riprendono quello che è avvenuto nel primo film. Non posso non sottolineare la poca inventiva degli autori.
  • I trailer. Ecco, quando arrivi a dire che la cosa più bella del film sono i trailer, inizi a capire che qualcosa non è andato per il verso giusto. Quattro i personaggi usati per irretire ed ingannare gli ignari fan del primo capitolo:
  • Il flashback in cui Kortz-minkien racconta il passato dei Vril quando arrivarono sulla Terra; anche in questo caso la scena è buffa e resa bene. Ma è purtroppo isolata e completamente slegata da tutto il resto. Adamo ed Eva erano in realtà due scimmie? Ahi, qui i creazionisti insorgeranno!
  • La riunione dei Vril ripresi come se fossero nell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Ok, citazione stra-abusata, ma nel marasma dell'inutilità di questo film, devo ammettere che ha funzionato.
  • Il Nokia 3310 reso come immortale ed indistruttibile strumento di un'epoca che non c'è più. Oh, idea carina, ma sono anni che su Internet ci sono meme e battute umoristiche su questo argomento; cari autori, benvenuti nel 2009...
  • Si vocifera di Lloyd Kaufman della Troma presente in un cameo. Non l'ho beccato, se qualcuno me lo dovesse confermare mi farebbe un grosso favore.
L'essere umano si estinguerà, ma lui sarà sempre lì, eterno ed indistruttibile.
Conclusioni & Commento
In molti casi, in passato, ho premiato film deficitari nella sceneggiatura ma ottimi dal punto di vista dell'aspetto tecnico; perché con Iron Sky 2 non avviene? Per rispondere alla domanda, permettetemi di chiarire un punto importantissimo: fateci caso, ma i film che ho premiato maggiormente, pur senza trama o ai limiti del minimo sindacale, vedevano veramente pochissimi dialoghi. Credetemi: un film senza trama funziona solo se i personaggi stanno muti, non dicono stronzate, o al massimo sparano sentenze mono-rigo. Altrimenti è veramente finita, vi verrà voglia di sterminarli tutti, dal primo all'ultimo. Non funziona nemmeno il frullato di teorie strampalate e storiche da cui il duo Timo/David ha attinto a piene mani: Santo Graal, Vril e i Rettiliani (concetti ripresi dal romanzo "The Coming Race" di Edward Bulwer-Lytton, 1871 - "La razza dell'avvenire" in italiano), la Teoria della Terra Cava, il mito di Agartha, Adamo ed Eva, ed altro ancora. Purtroppo non è che gettando fumo negli occhi dello spettatore le cose migliorino, anzi... si corre il rischio di peggiorarle. Iron Sky: The Coming Race è stata una delle occasioni più sprecate di sempre, lo dico senza timore di essere smentito.

Il tempo passa per tutti, anche per Julia Dietze (anche se qui è truccata)

Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 3
Fa acqua da tutte le parti, la scrittura dei dialoghi è atroce e le idee più carine non sono nemmeno originali. Uno sfacelo unico.
Musiche: 5
Qui ammetto di essere andato in difficoltà. Come nel primo film, tutta la colonna sonora è firmata dal gruppo sloveno Laibach, noto agli appassionati del genere. La mia impressione, però, è che non si siano impegnati più di tanto; né la canzone iniziale, né quelle finali hanno lasciato il segno.
Regia: 6,5
Molto buona: la mano di Timo è ferma e pure valida, le immagini scorrono bene, gli effetti speciali pur non eccellendo si salvano. La resa finale è altalenante e non so quanto sia voluta: si passa da scene che paiono tratte da un blockbuster  di Hollywood, ad altre in stile The Asylum. Uhm, no, non lo prenderei come un grosso complimento.
Ritmo: 6
Il ritmo avrebbe potuto essere più elevato, ma a metà film tutto deraglia in mestizia, si perde il senso della storia e gli attori vagano spaesati da una scena idiota all'altra. A lungo andare questo porta solo ad una cosa: l'abbiocco letale che si tramuta in indifferenza.
Violenza: 5
C'è qualcosina, alcuni personaggi muoiono di morte violenta, ma... il tono generale è quello della commedia, anche se più serioso rispetto al primo Iron Sky (altro errore madornale! Sono state tradite le origini!)
Humour: 5
Il film non fa per nulla ridere, e nemmeno sorridere. Alcune citazioni intelligenti o spiritose funzionano ma sono troppo nascoste in un mare di mediocrità dilagante.
XXX: 0
Niente da segnalare.
Voto Globale: 4,5
Più parti con aspettative elevate date grazie a promesse poi non mantenute, più meriti di essere punito selvaggiamente da pessimi giudizi e da insanabile rancore. Iron Sky 2 è stato sicuramente una delle più cocenti delusioni degli ultimi tempi. Non sprecate il vostro tempo: recuperate il primo o, in alternativa, giocate all'omonimo board game, che merita senz'altro una prova. 

venerdì 26 luglio 2019

It came from the desert (2017) | Recensione

It came from the desert
Voto Imdb: 4,3
Titolo Originale:It came from the desert
Anno:2017
Genere:Fantascienza, Horror, Commedia
Nazione:Finlandia, Regno Unito, Canada
Regista:Marko Makilaakso
Cast:Harry Lister Smith, Alex Mills, Vanessa Grasse

Ah, che ricordi...
Flashback - una inutile introduzione al gaming 16 bit
Fine anni '80, primi anni '90. Già ai tempi ero un geek nonché videogamer incallito: ero da poco passato dal glorioso Vic-20 (l'antenato del Commodore 64) direttamente all'Atari Lynx, una delle migliori console portatili mai concepite, tristemente fallita a causa di una serie di macroscopici errori strategici e produttivi della Atari, soccombendo sotto i colpi del vincente Gameboy della Nintendo. Quando, nel 1990, mi arrivò il primo PC, un 286 con grafica VGA a 256 colori, percepii di aver compiuto un enorme balzo in avanti, arrivarono già i primi giochi con grafica decente, in grado di superare gli orridi 4 colori in CGA e gli altrettanto vetusti 16 colori della EGA. Ma non mi sentivo del tutto soddisfatto, c'era ancora qualcosa che suscitava la mia malcelata invidia, ed era l'Amiga 500, una perfetta macchina da gioco per la quale diverse software house avevano sfornato dei capolavori in grado di competere grandiosamente con il PC MS-DOS almeno fino al 1994, anno del fallimento della Commodore. Ah, che tempi! Chi c'era, ricorderà senz'altro i nomi di sviluppatori e publisher che misero in commercio delle vere e proprie pietre miliari; i primi nomi che mi vengono in mente sono Bitmap Brothers (Gods e Speedball 2 - Brutal Deluxe: uno dei miei giochi preferiti di sempre), Sensible Software (Cannon Fodder e Sensible World of Soccer), Psygnosis (Shadow of the Beast), Team 17 (Alien Breed e la saga di Worms), Bullfrog (Populous, e Syndicate), D.I.C.E. (Pinball Dreams e Pinball Fantasies, i migliori flipper della storia videoludica) e... fermi tutti! Potrei andare avanti ancora per molto, questa è solo una sfilza parzialissima e ho lasciato per ultima quella che, secondo me, è la software house che più di altre ha legato indissolubilmente il proprio nome al computer di casa Commodore. Facciamo un mezzo passo indietro: ricordo che a quei tempi, sul mio PC, c'era un gioco che adoravo nonostante fosse in soli 4 miseri colori, ed era Defender of the Crown, uno strategico ambientato nel mondo nell'Inghilterra medievale, epoca di crociate e impavidi cavalieri. Quando, a casa di un compagno di classe del liceo, ebbi la ventura di assistere allo stesso gioco in versione Amiga, ricordo che smascellai rimanendo inebetito di fronte alla grafica e al gameplay, decisamente superiori alla conversione su MS-DOS in mio possesso. Mi segnai il nome della software house e mi ripromisi di seguirla con più attenzione, più che altro sbavando sulle pagine di The Games Machine, rivista che già ai tempi acquistavo in edicola e che resiste tuttora come una delle più longeve di sempre nel settore. 
It came from the desert - versione Amiga
Cinemaware: ecco il nome dello sviluppatore, che nel 1989 pubblicò uno dei giochi migliori per Amiga di sempre, perennemente nelle Top Ten di chiunque voglia dire la sua su questo argomento. Sto parlando di It Came from the desert, un gioco innovativo che miscelava in modo bilanciatissimo avventura, strategia e azione, confezionate mirabilmente con una grafica superba per i tempi, bellissime musiche ed una trama che strizzava l'occhio ai B-Movies fantascientifici degli Anni '50. Non è difficile capire come quel gioco, per quelli della mia età, risultasse così significativo e segnante, al punto da diventare una ineguagliata pietra miliare. La trama vedeva come ambientazione principale Lizard Breath, una minuscola fittizia cittadina ubicata nel deserto californiano, teatro nel 1951 di una pioggia di meteoriti. Il protagonista, il Dottor Bradley, è deciso a fare luce sull'avvenimento e, man mano che la trama avanza, scopre che le radiazioni hanno iniziato a colpire le formiche del posto, rendendole intelligentissime ed... enormi! Il protagonista ha solo quindici giorni di tempo per raccogliere le prove dell'esistenza dei mutanti, convincere le autorità del pericolo imminente e, infine, mettere in atto le misure per sconfiggere le formiche giganti. C'era davvero di tutto: una trama avvincente, il senso del tempo che passava inesorabile in attesa dell'imminente disastro, azione, dialoghi a scelta multipla che potevano portare a due finali diversi, spostamenti in diverse location della cittadina tramite mappa interattiva, grafica disegnata a mano e animata in modo innovativo, musiche coinvolgenti... insomma, un capolavoro annunciato! Certo, se confrontiamo un gioco 16 bit del 1989 con i Tripla-A attuali, i cui costi di produzione raggiungono quelli di un film hollywoodiano, il risultato è certamente impietoso; ma allo stesso tempo, non possiamo dimenticare che quelle stesse software house hanno contribuito in modo determinante al mondo dei Video Games così come lo conosciamo oggi.

Ecco cosa aspettarsi dal film...
It came from the desert - il film
"Sì, OK, bravo, ecco il tuo solito panegirico per dimostrare quanto sei figo e saccente, bene, bravo, bis, mi dici dove vuoi arrivare con questo inutile esercizio di stile di questa grandissima minchia?", mi dirà il più irritante tra voi.
A vedere questa immagine, il film sembra pure figo...
La risposta è presto detta: è curioso pensare che un videogame considerato una pietra miliare del tempo, nato praticamente come se fosse una sceneggiatura cinematografica interattiva, avesse dovuto aspettare ben ventotto anni prima che qualcuno avesse la brillante idea di farne davvero un film.
Beh, eccovi accontentanti e... niente, avrei preferito rimanesse solo un'idea nella mente del regista finlandese, Marko Makilaakso, classe 1978, perfetto esempio di essere umano della mia generazione che un giorno si sveglia ruttando e decide di fare un tributo ad uno dei miti della sua (nostra) infanzia.
Ora faccio io una domanda: "Perché? Cazzo, perché?"
Narra la leggenda che questo Marko, appassionato di motocross (ma anche di retrogaming, il fenomeno di riscoperta dei giochi appartenuti a sistemi operativi morti e sepolti da anni), volesse fare un film sulle motociclette e che avesse chiesto il permesso alla Cinemaware (risorta dalle ceneri negli anni 2000, oggi in mano alla svedese Starbreeze, che ne detiene i diritti sul nome e sulle licenze di tutti giochi) di pubblicare qualche sequenza del gioco It came from the desert. La risposta fu un qualcosa del tipo: "Ma perché non ci fai un film, invece di citarlo soltanto?"
Detto fatto, Marko ha riscritto la trama, ha trovato i fondi e purtroppo nel 2017 ha iniziato a girare una fetecchia immonda che difficilmente rimarrà negli annali, come invece è successo al glorioso capostipite.


Scena di motocross buttate in mezzo, così, a cazzo.
Trama!
L'intrepido trio all'erta e pieno di brio...
Sulla sinistra, citato Grottango.
C'è Brian, uno sfigato patentato incapace di relazionarsi con le ragazze, nerd di professione, appassionato di film, videogame e motociclette, in effetti è un asso del motore e delle modifiche, non esiste moto che abbia segreti per lui; c'è il suo migliore amico Lukas, una delle persone più stupide e mono-neurone mai viste in un film, ma fascinoso, simpatico ed estroverso, pilota asso di motocross, il classico belloccio decerebrato in grado di fare breccia nei cuori delle ragazze del ridicolissimo paese senza nome ai confini del deserto californiano. Brian è da tempo innamorato di Lisa, ragazza intelligentissima, bellissima, ambita da tutti gli zarri dei dintorni. Lukas, che in fondo ha un grande cuore, per permettere a Brian di provarci con Lisa, porta entrambi gli amici fuori paese, dove viene organizzata una festa sballatissima con l'obiettivo di sbronzarsi con birra, vodka e mix alcoolici vari. Brian, che ovviamente non sopporta la festa, si allontana e scopre una misteriosa caverna; Lukas lo raggiunge e, incuriosito come una scimmia,  obbliga l'amico a seguirlo per esplorarla; i due amici ben presto scoprono un sito governativo abbandonato e ben presto l'orrore prenderà il sopravvento; gli scienziati, tranne un unico superstite, sono stati sterminati dal risultato dei loro folli esperimenti, delle formiche giganti ottenute tramite fusione di DNA alieno e terrestre. Le formiche, dotate di mente superiore, sono enormi, velocissime e voraci di ETANOLO. Indovinate dove c'è etanolo in quantità? Nella festa degli sballati, ovviamente! Per Brian e Lukas, a cui chiaramente si aggiungerà Lisa, diventa una lotta contro il tempo per salvare la cittadina (e di conseguenza il mondo intero) dalla minaccia dei mostri che loro stessi hanno in qualche modo risvegliato.


ETANOLO!
Cosa funziona del film?
Un beneamato cazzo di niente!
Cosa non funziona?
Tutto!
Conclusioni!
Non perdete il vostro tempo, piuttosto giocate all'omonimo videogame tramite emulatori (o tramite vero Amiga 500, se siete tuttora dei fortunati possessori).

Un intermezzo animato carino che richiama Fallout...
Commento più in dettaglio
Che palle, ve la ricordate la maestra che vi diceva frasi tipo questa? "Argomentate, non scrivete inutili giudizi lapidari fini a sé stessi!"
La formica regina: beh, dai, orripilante il giusto...
No, non posso sottrarmi a tale precetto, mi è stato troppo inculcato nella mente anni addietro. Vediamo di capire insieme perché questo film, nonostante una patina decisamente invitante e, per certi versi, perfino superiore a quella dei film The Asylum (Sharknado su tutti), si riveli infine per quello che è: una vera merda. Come sempre, i più scafati tra voi, quelli che hanno già letto il voto, inarcheranno il sopracciglio nel constatare la contraddizione di fondo tra quanto ho appena detto e il giudizio finale, numericamente vicino alla sufficienza. Andiamo con ordine. Il film, come tanti altri del genere, ormai sempre più inflazionato e che ha sempre meno da dire, nasce come un nostalgico omaggio ai ricordi di un'adolescenza dorata, ricca di bei ricordi attraverso cui il cervello manda messaggi positivi a tutto il corpo. In fondo, è così che funziona la dolce culla della nostalgia, nevvero? Epperò, questo sistematico richiamo agli anni che furono, oggi come oggi, se non adeguatamente realizzato, ha potentemente frantumato i coglioni. Questa è una nicchia che si sta sempre più allargando, ed è sempre più difficile emergere con qualcosa di veramente evocativo, piacevole, in grado di risultare significativo. Personalmente non mi basta più il solito gioco citazionistico: io quegli anni li ho vissuti, me li ricordo benissimo (non rimembro una fava di quello che ho fatto ieri, ma tutto quello che mi è successo nel 1984, quello sì), in fondo non ho bisogno di essere stimolato da battute trite e ri-trite pescate a piene mani da tutto quello che era mainstream in quegli anni; molto meglio sarebbe sorprendermi con citazioni fresche, rare, che la mia mente sicuramente ha nel tempo dimenticato e sepolto con strati di ricordi inutili. Mi duole ammetterlo, con It came from the desert la sorpresa non avviene per nulla. Si cita a piene mani Aliens - Scontro Finale, Jurassic Park, Tremors, L'Armata delle Tenebre (una stessa battuta viene pure riciclata due volte, gravissimo), oltre, ovviamente, alla citazione madre del videogioco, il film Them! (1954, conosciuto in Italia col titolo Assalto alla Terra), che parlava proprio di radiazioni nel New Mexico che rendono le formiche dei mutanti giganti. Curioso come nello stesso anno, in Giappone, uscì un capostipite del cinema di genere con tematiche molto simili, l'immortale Godzilla di Inoshiro Honda.
Brian, perché l'hai fatto? Perché?
Il nostro Marko, però, mantiene tutto a livello più superficiale; i personaggi sono solo degli stupidi ed irritanti stereotipi; i dialoghi sono terrificanti e ai limiti della sopportazione; il tono è quello della commedia demenziale, con l'aggravante che non c'è una singola scena che mi abbia strappato anche un solo mezzo sorriso. Credetemi, non c'è cosa peggiore della tristezza provocata da un comico che non fa ridere, si arriva a provare sincero imbarazzo. La trama è minimalista, va col pilota automatico, non riserva sorprese ed è di una banalità sconcertante. A tutto questo aggiungiamo anche il fatto che gli attori non sono minimamente coinvolgenti, penso anche a causa del pessimo doppiaggio italiano. Di fronte a cotanto sfacelo, che dovrebbe dar origine ad un voto pericolosamente basso, cosa permette al film di galleggiare nella mediocrità invece che sprofondare nei liquami mefitici che dovrebbero competergli?
La colonna sonora, innanzitutto, un funzionale mix di synth pseudo-anni-'80 e di spruzzate di hair-metal nordeuropeo. Nulla di epico, intendiamoci, ma gradevole e funzionalissimo. Aggiungiamo i grossolani effetti speciali: non posso non premiare il regista per il risultato ottenuto; il budget del film è stato molto più basso di un qualunque Sharknado, eppure visivamente non raggiunge la rara e voluta bruttezza ottenuta dal film Asylum. Le formiche giganti sono ben rese, la regina è pure disgustosa a modo suo, e le formiche soldato, quando bevono la birra, ruttano genuinamente e sonoramente. Le immagini sono illuminate con la giusta patina, niente smarmellamenti "alla Duccio e Renè Ferretti", tutto quello che si vede è nitido e ben mostrato. E, alla fine, quello che funziona è l'atmosfera generale, è quel voler essere in un colpo solo un po' trash, un po' ammiccante, un po' Anni '50 e '80 insieme. Ho percepito l'omaggio del regista come sincero e non artefatto, e questa cosa ve l'ho detta più volte, per me è un valore aggiunto.
Reali conclusioni
Però le buone intenzioni del regista non bastano: It came from the desert è una visione fondamentalmente inutile, stanca, superficiale, lontana da come, secondo me, dovrebbe essere fatto un omaggio nostalgico agli Anni '80 (e '90), quello che era perfettamente riuscito con Turbo Kid (2015, qui da me recensito), giusto per fare un confronto con un altro film indipendente a basso budget. Oggi non basta dire "Dammi un po' di zucchero, baby" per far ridere. L'han detto tutti, dal 1993. E non bastano nemmeno i meta-dialoghi autoironici in cui i protagonisti a più riprese affermano di "non essere in un film dell'orrore", facendo finta talvolta di abbattere la quarta parete: è un giochino già visto più volte.
Il problema più grosso è infine il seguente: il film ha clamorosamente mancato il target di riferimento. Troppo superficiale per poter davvero essere gustato dai geek come me, troppo autoreferenziale per poter essere apprezzato dai più giovani. Il destinatario più probabile resta giusto chi giocò al videogame iniziale; ma in quel caso, l'esperienza migliore resta quella videoludica, e non è certo sufficiente che i titoli di coda, peraltro molto indovinati, mostrino in timelapse accelerato l'intera sequenza di gioco della versione Amiga. Senza troppi indugi, vi rimando al pagellone finale per ulteriori considerazioni.

Ecco l'unico contributo del Neurone Numero 4...

Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 3
Inutile, scritta male, priva di sorprese, con dialoghi irritanti e poco ispirati. Non c'è niente che si salvi.
Musiche:
7
Il mix synth e hair-metal funziona, la colonna sonora è a mio avviso uno dei punti di maggior pregio del film.
Regia: 6
I problemi del film sono per me più di scrittura che di regia che, anzi, si difende bene nonostante il risicatissimo budget.
Ritmo: 6,5
Se c'è una cosa che non manca, è proprio il ritmo: vuoi per le sequenze di motocross, anche se slegate rispetto alla trama principale, vuoi per le scene di combattimento con le formiche. A rovinare tutto sono i dialoghi imbarazzanti dei due protagonisti. Già al terzo minuto avrei voluto riempirli di badilate sulle gengive.
Violenza: 5
Il tono è quello di una commedia pseudo-demenziale, le formiche per quanto ben realizzate non fanno paura ma non manca qualche leggera spruzzatina splatter. 
Humour:
4
Se l'intento era quello di strappare qualche risata, il film fallisce macroscopicamente. Non ho riso in mezza sequenza, e sì che non sono di gusti difficili, a me basta poco... qui non siamo nemmeno arrivati al minimo sindacale.
XXX: 0
Nulla da segnalare, nemmeno per il Neurone 4. Accontentiamoci dell'infermiera del gioco... ehm...
Voto Globale: 5,5
It came from the desert è stata una enorme, grandiosa occasione sprecata. L'idea di partenza, quella di omaggiare un videogame cult per gli appassionati ma quasi dimenticato dal resto del mondo, poteva essere vincente se accompagnata da una realizzazione meno superficiale. Aggiungiamoci che qui il gioco delle citazioni non funziona neanche un po', e il risultato finale non può che essere insufficiente. Peccato!

giovedì 11 luglio 2019

Sharknado 6: L'ultimo Sharknado - era ora! (2018) | Recensione

Sharknado 6: L'ultimo Sharknado - era ora!
Voto Imdb: 3,6

Titolo Originale:The Last Sharknado: It's About Time
Anno:2018
Genere:Fantascienza, Catastrofico, Azione
Nazione:Stati Uniti
Regista:Anthony C. Ferrante
Cast:Ian Ziering, Tara Reid, Cassie Scerbo, Vivica A. Fox


Le cose più belle solo le grafiche pubblicitarie. Ehm.
C'è il titolo di una canzone dei Van Halen che riassume il senso di questa recensione: "Finish what you started". Ok, il tema della canzone è tutt'altro, ma il senso di fondo rimane; non potevo lasciare incompleta la saga di Sharknado e non potevo non recensire l'ultimo e conclusivo film della serie.

In una parola: dovevo.

Le cose belle: un esempio lo vediamo a destra.
Tutte le cose, belle o brutte, hanno una fine. Quando finiscono quelle belle, resta un retrogusto amaro, un senso di mancanza e di delusione unito alla dolce malinconia della nostalgia che avvolge tutto. Quando finiscono le cose brutte, si ha un senso di liberazione, di essersi tolti un peso, di respirare liberamente. Quando finisce Sharknado è un po' tutte le cose insieme... cinque anni passati in spensieratezza, a ridere delle cazzate inventate dagli autori, a piangere per la disastrosa recitazione degli attori, ad incazzarsi per come avrebbero potuto rendere una scena particolarmente orripilante a causa dell'inadeguatezza del regista e produttori, a spellarsi le mani per i colpi di genio disseminati qua e là. Già, cinque anni volati in un battibaleno: il primo è del 2013, il sesto del 2018, a chiudere (in)degnamente una delle saghe più folli, tristi, raffazzonate, mal recitate, pessimamente realizzate ma anche genuine del panorama televisivo low-budget degli ultimi anni.
Mi avete seguito fin qui? Nel dubbio, vi ripeto il concetto più importante: Sharknado 6: L'ultimo Sharknado - era ora! è veramente l'ultimo della serie. Sono certo che molti di voi tireranno un enorme sospiro di sollievo mentre altri si abbandoneranno a scene di sconforto ed emozione come le ragazzine innamorate di Val Kilmer nel film Top Secret!. Io, che devo mantenere un certo contegno, preferisco pattinare sul filo dell'obiettività e vi dico: finisce, è vero, e un po' mi spiace. Ma se la fine è quella a cui ho appena assistito, porco mondo, era davvero ora che il team di produzione la smettesse di raschiare il fondo del barile.

Prima di approfondire queste parole dure, parole dure di un uomo davvero strano, facciamo un passo, anzi cinque passi indietro. Prendetevi il vostro tempo e recuperate, se proprio avete voglia, le mie precedenti recensioni ai film del franchise in esame:
Fatto? No? Non vi biasimo.
Mantenendo fede alla trama sconclusionata del film, anche questa recensione sarà strutturata allo stesso modo, con diversi paragrafi scritti esattamente così come mi sono venuti in mente, senza che io mi sia preso la briga di trovare un filo conduttore. Ve lo meritate. Se lo merita Sharknado. Alla salute!


Ecco un fulgido  esempio di quello che vi sta aspettando...
Trama!
Nella malaugurata ipotesi in cui abbiate ripassato le puntate precedenti, sapete benissimo qual è lo spunto di partenza che tutti aspettavamo di vedere con l'inizio del sesto film. Se invece non lo avete fatto, ecco in vostro soccorso il mio buon cuore che vi dà un suggerimento: il quinto film, che sembrava davvero una fetecchia immane (e lo era, nonostante il roboante 7 che gli avevo giustamente regalato), si era concluso con uno strabiliante colpo di scena e la sfolgorante comparsa nientepopodimeno che di Dolph Lundgren nei panni di un adulto Gil, il figlio del protagonista Fin Shepard (Ian Ziering). Citando uno dei capolavori supremi della cinematografia mondiale di sempre (Ritorno al futuro, 1985), Gil invita Fin a seguirlo nel suo viaggio nel tempo per sistemare gli immani casini successi precedentemente.
Sharknado 6 parte proprio da qui: Fin è sicuro che, fermando in tempo il tempo, il sopravvento prenderà. Peccato che:
  • Fin venga sballotato nella preistoria
  • di Dolph Lundgren non si veda nemmeno l'ombra
Voce incazzata e con questa espressione sul volto!
Leggete bene il secondo punto con voce incazzata: ecco il primo, tremendo colpo basso di questo film, un tradimento alla fiducia che avevamo riposto grazie all'onestà e genuinità che da sempre avevano contraddistinto la serie. Come ben sapete, da spettatore non mi piace essere preso in giro, e il fatto che per vari motivi facilmente intuibili non siano state mantenute le fantastiche promesse di Sharknado 5, ha fatto sì  che la mia mente innalzasse una barriera grande tanto quanto quella dei Guardiani della Notte ne Il Trono di Spade per tutta la visione del film. E siamo solo al primo minuto di svolgimento, vi lascio immaginare il resto.
In breve, dal momento che davvero non ho voglia di raccontare nei dettagli una trama che non riserva la benché minima sorpresa perché ha pedestremente ricalcato lo stesso espediente narrativo del capitolo precedente, sappiate che:
  • Fin incontra nuovamente la moglie April (Tara Reid), Nova (Cassie Scerbo), Bryan (Judah Friedlander) e, più avanti, Skye (Vivica A. Fox), tutti personaggi che credevamo morti ma che Gil, con i suoi balzi temporali, ha malauguratamente riportato in vita.
  • Insieme alla rediviva April umana, Fin è sempre accompagnato dalla testa-cyborg della April non umana, scatenando ilari scenette di gelosia / triangoli amorosi / spunti potenzialmente geniali purtroppo gettati nel bidone dell'umido da una sceneggiatura troppo frettolosa e mal gestita. Ma di questo non avevamo dubbi, è il marchio di fabbrica della serie.
  • L'obiettivo degli eroi è quello di stroncare il primo sharknado di sempre in modo che non si possa più ripetere nel futuro. Un po' quello che Skynet voleva fare con Terminator, con le ovvie e debite proporzioni. (scusami Cameron, scusami)
  • Debellato lo sharknado preistorico, i nostri sono convinti di aver risolto tutti i problemi ma non si rendono conto che questi ultimi, in realtà, sono appena iniziati: il Condensatore (una grottesca citazione del Flusso Canalizzatore di Ritorno al Futuro, e questa sarà una delle sue innumerevoli citazioni disseminate nei novanta minuti scarsi di visione; peccato che chi ha adattato Sharknado 6 in italiano non abbia usato lo stesso termine italiano coniato da Emmett Brown, avrei apprezzato molto. Mi domando se chi ha fatto questo lavoro, abbia davvero colto la citazione - ma quanto cazzo è lunga questa parentesi? Mi sono perso.), dicevo il Condensatore fa le bizze e li spedisce in giro per il tempo / mondo, un po' quello che è successo a Boldi-De Sica nel film campione di incassi A Spasso nel Tempo. Ragazzi, con questa citazione possiamo chiudere l'Internet, mettere sullo stesso piano un mesto cinepanettone italiano e la saga di Sharknado è uno smacco totale.
  • Fin & Co. si ritroveranno quindi nella Camelot medievale, poi durante la Guerra di Indipendenza (con Washington e Franklin), nel selvaggio West, negli anni '50 e, infine, nel 2013, l'anno in cui tutto iniziò con il primo Sharknado. Nel mezzo anche una tappa nel 20013, in un futuro apocalittico in cui decine di cloni di April-cyborg vagano per le strade disabitate. Un vero incubo, lasciatemelo dire. Fra l'altro viene citato The Terminators, altro ignobile film della The Asylum.
  • Dai, dai, vi racconto anche il finale, che ve frega? Eh? Eh? Dopo tutti questi zompi nel tempo, il continuum spazio-temporale si frattura (insieme alle nostre balle) e si crea un mischione primigenio, il TIMENADO, che fa collassare l'universo conosciuto e resetta tutto a prima dell'arrivo del primo sharknado, conducendo il film ad un prevedibilissimo, banale e meschino lieto fine, con tutta la famiglia di Fin Shepard finalmente riunita senza macelli assortiti a rovinarne la sua esistenza. L'ultima frase di Fin non lascia ben sperare: "Ora siamo pronti per un reboot". Cala il sipario.
Mirabolante gioco di parole tra Fin (Shepard) e il The End francese...
[nota di Capitan Ovvio]

Momenti Memorabili!
Ma lo sappiamo, noi aspettiamo solo questo momento! Il momento dei momenti memorabili!
Come noterete, i punti sono davvero pochi, segno inequivocabile del turboprogressivo inaridimento delle idee.

Squalo mangia T-Rex
  • [Premio Speciale alla Migliore Scena del Film] Fin scivola sulla schiena di un dinosauro, esattamente come Fred Flintstone de Gli Antenati. Dal momento che questa scena avviene tipo al secondo minuto, beh, vi fa capire come gli sceneggiatori abbiamo deciso di sparare subito le cartucce migliori.
  • [Premio Speciale alla Migliore Uccisione] Motosega brandita da Fin come ai vecchi tempi, e squalo segato in due inarcandosi all'indietro. La migliore uccisione è carina, ma niente di particolarmente eclatante e che mi abbia fatto balzare in piedi come era successo in passato. Altro inequivocabile segnale di mancanza di idee. Ah, la decadenza. Ah, l'autocitazione e l'autoreferenzialità (la scena è un omaggio al secondo film)
  • [Premio Speciale alla Migliore Battuta] Ignobilmente smarrita nell'insufficiente adattamento italiano: "Let's do the time warp again" pronunciato da Fin tra un balzo temporale e l'altro.
  • Se siamo a Camelot con Merlino e Morgana, non può certamente mancare Excalibur! E come sarà mai fatta, la spada più famosa del mondo? Come una motosega, che domande! Qui ammetto di aver ghignato.
  • Squalo mangia T-Rex: non male come scena, avvenuta al terzo minuto di visione. C'è in giro una gif animata che la illustra nel suo splendore in risoluzione CGA 4 colori (non 4K, eh).
  • Se siamo su una spiaggia americana, non possiamo non salire su una tavola e surfare sulle onde. E in Sharknado gli squali possono tutto, incluso mangiarsi un surfer, spanciarsi sulla tavola e cavalcare le onde di sabbia e di mare. Tutto molto poetico.
  • Il TimeNado finale è una delle cose più fuori di testa dell'intera esalogia. Un pasticciatissimo sfondo viola elettrico simula l'implosione del multiverso mentre tutto collassa in un tripudio di squali, testa-di-April incastrata nelle fauci di un altro squalo, vortice con personaggi storici che si mischiano tra loro (Cleopatra, Confucio, Hitler, Muhammad Ali ed altri), il tutto mentre noi non stiamo più capendo una sega e all'improvviso l'universo esplode e si resetta. Così, de botto, senza un perché. Ma ammetto che in quel momento avevo già la palpebra calante, probabilmente se ora mi mettessi a riguardare gli ultimi minuti, dovrei riuscirlo a dargli un senso. Ma sapete una cosa? Certe volte è meglio rimanere nell'ignoranza, credetemi.
Malati di epilessia, chiudete gli occhi.
Ecco la psichedelica scena del TimeNado finale!

Camei Importanti!
Altro segno del cosmo-decadentismo della produzione è il fatto che i cameo, questa volta, pur essendo di buon numero... fanno pietà. Personalmente, di quelli nuovi ne ho riconosciuti davvero pochi (i primi quattro dell'elenco; gli altri sono stati ricavati da Wikipedia, lo ammetto senza ritegno alcuno).

I'm not gonna take this anymore. -> Twisted Sister
  • Il migliore, per distacco: Dee Snider dei Twisted Sister nei panni dello sceriffo che esclama "I'm not gonna take this anymore.", altra battuta persa nel doppiaggio italiano.
  • Tori Spelling. Qui una lacrimuccia, mamma mia come è invecchiata male. Se non vi dice niente, forse il nome di Donna in Beverly Hills 90120 dovrebbe farvi accendere la lampadina. Per i più sbadati, ricordo che Ian Ziering (Fin) interpretava Steve nello stesso iconico telefilm.
  • Bo Derek (la madre di April)
  • Gary Busey (avrebbero dovuto piazzarlo nella scena del surf, però! Non puoi sprecare così l'occasione di avere uno degli attori di Un Mercoledì da Leoni, che diamine. Qui riprende il ruolo del 3° film della serie, il padre pazzo di April.)
  • Altra re-union, questa volta da American Pie; il figlio Gil è interpretato da Chris Owen, che ha recitato insieme a Tara Reid nella saga comica di cui, ammetto candidamente, non ho mai visto un film. Curioso passare da Dolph Lundgren a Chris Owen: qui la presa in giro è palese e autoironica. Ma io sono incazzato lo stesso.
  • LaToya Jackson, sorellina di Michael, nella parte di Cleopatra.
  • Dexter Holland e Noodles degli The Offsprings.
  • Tanti altri che non conosco ma che in America sono famosi (tipo Neil deGrasse Tyson nella parte di Merlino, una sorta di Piero Angela americano, se ho capito bene.)
Viene anche riesumato il Mecha-Shark... mestizia...
Citazioni!
Alcune citazioni sono perfino apprezzabili, beccatevi una veloce selezione.
  • Ritorno al futuro (troppe citazioni, tanto che hanno pure stancato)
  • Rocky Horror Picture Show (battuta già citata sul Time Warp)
  • L'impero colpisce ancora (Skye viene intrappolata in un blocco di grafite come Han Solo)
  • La Storia Fantastica (Nova recita la frase: "Io sono Nova Clarke e tu hai ucciso mio nonno, adesso preparati a morire!", scimmiottando Inigo Montoya)
  • Deadpool 2 (nel 20013 Fin si domanda: "In quale seguito di Deadpool ci troviamo?", risposta alla scena di Deadpool 2 in cui il protagonista chiede a Cable, che viene dal futuro, "In quale Sharknado ci troviamo?")
  • Apollo 13 (in realtà il gioco di parole è solo nell'adattamento italiano, dove viene pronunciata la frase "Houston, abbiamo un problema", mentre in originale viene semplicemente detto "Abbiamo un problema")
Surf's up!
Classifica finale dei sei film!
Siamo quasi arrivati alla fine: prima di balzare alle conclusioni, voglio divertirmi a stilare una classifica di gradimento di tutti i film della saga: dal peggiore al migliore, ecco l'elenco a mio insindacabile giudizio.
  • Sharknado 6 - All'ultimo posto, proprio l'ultimo film: nelle conclusioni e nelle pagelle capirete il perché, non aggiungo altro. Maremma maiala che occasione sprecata, cazzo.
  • Sharknado 3 - C'è David Hasselhoff, ci sono tocchi geniali sparsi qua e là, c'è la migliore Nova di sempre (occhi a forma di cuoricino), c'è lo scrittore George R.R. Martin ucciso senza pietà... ma gli autori hanno avuto la pessima idea di aggiungere una trama al film, affossandone ogni pretesa di epicità.
  • Sharknado 4 - Gemini (altri occhi a forma di cuoricino), David Hasselhoff, Gary Busey, una matrioska di squali che ha scatenato applausi a scena aperta. Avrebbe meritato il podio ma...
  • Sharknado 5 - Il film, di per sé, è uno dei peggiori... ma il colpo di scena finale gli fa fare un balzo fino al gradino più basso del podio. Scusate se è poco, grazie Dolph!
  • Sharknado 1 - Il primo amore non si dimentica mai; è sicuramente il più raffazzonato, ma non è che poi in seguito la produzione si sia impegnata così tanto a migliorarne la resa. Ha l'indubbio merito di essere il film da cui tutto è partito, la piazza d'onore non può che essere sua.
  • Sharknado 2 - Per me resta il migliore della saga. Il più folle, il più geniale, il più stupido, il più ricco di cazzatone sparate in quantità e con la migliore scena di uccisione di squalo. 
Conclusioni!
Sharknado 6 pone la parola fine alla saga, e lo fa nel modo peggiore possibile. I colpi migliori sono stati sparati tutti nei primi venti minuti circa, poi il film si trascina stancamente fino al TIMENADO finale; nella parte centrale la noia prende impietosamente il sopravvento, nonostante le numerose scene d'azione si svolgano senza soluzione di continuità. Il ritmo resta elevato ma, dal momento che è stato usato lo stesso espediente narrativo del quinto film (bordello, sharknado, risoluzione, balzo nel tempo, nuovo bordello da sistemare e così via), l'effetto novità viene tragicamente a mancare. Mettendo da parte il fatto che gli autori se ne siano totalmente sbattuti le palle dei paradossi temporali (non vengono risolti, semplicemente accadono cose folli senza spiegazione e senza una corretta sequenza logica di causa-effetto), il film soffre di una imbarazzante mancanza di idee, che in fondo erano quelle che tenevano in piedi i capitoli precedenti. Voglio dire: già mi devo sorbire attori cani a recitare (Novahhhh, cuoricini sparsi), devo chiudere entrambi gli occhi di fronte ad una spiattellata, inorgoglita povertà realizzativa, devo infine rassegnarmi al fatto che non è stata mantenuta la promessa di Dolph Lundgren (ah, io non dimentico!)... se, insomma, devo ingoiare tutti questi rospi e mi togliete anche la gioia di vedere il lampo di genio, quello che tiene viva la mia attenzione, cosa cazzo rimane di Sharknado? La risposta, nell'immagine qui sotto.



Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 2,5
Traballante, inutile, tediosa, con l'aggravante di aver riciclato la stessa idea del film precedente. No, non ci siamo. Dove finisce l'autocitazione ed inizia il riciclo selvaggio dell'idea?
Musiche: 6
L'aspetto audio è sempre stato quello che si è salvato nella serie (idee idiote a parte, ovviamente). Qui non fa eccezione. Promosso.
Regia: 5
Diversi passi indietro: povertà realizzativa al suo top, pochi guizzi geniali. Mai come questa volta, il regista ha svolto il compitino senza strafare.
Ritmo: 5,5
Pur essendo indiavolato, il film non raggiunge la sufficienza, soprattutto a causa della noia che più volte ha fatto capolino. Formula abusata e che non ha più nulla da dire.
Violenza: 6
Siamo alle solite: nella mente di chi ha tanta fantasia, Sharknado è un film di una violenza inaudita. Ma quello che vediamo è troppo edulcorato causa povertà di mezzi e budget, oltre che per una buona dose di autoironia. La Asylum vi dà lo spunto, lo splatter dovete mettercelo voi con la mente e il cuore.
Humour: 6
Non si arriva mai a ridere veramente, ma qualche ghigno lo strappa.
XXX: 1,5
C'è Nova, torna pure Gemini nel finale, impossibile dare zero anche se non si vede una ciolla.
Voto Globale:
5,5
Ahi, ahi, ahi. La saga inciampa proprio sul finale. Avrebbe potuto concludersi col botto memorabile, invece termina nella mestizia più silente e banale, come una loffa spompa e nemmeno tanto assassina. È stato bello finché è durato ma, per pietà, basta. Basta così, la parola fine era giusto che venisse posta in qualche modo. Bocciato e destinato a cadere nell'oblio.
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