martedì 2 giugno 2020

Weathering with you - La ragazza del tempo (2019) | Recensione

Weathering with you - La ragazza del tempo
Voto Imdb: 7,6
Titolo Originale:Tenki no ko
Anno:2019
Genere:Fantastico, sentimentale, commedia
Nazione:Giappone
Regista:Makoto Shinkai
Cast:Daigo Kotaro, Mori Nana


Attenzione! Questa recensione è un estratto della Monografia su Makoto Shinkai. Ne ho fatta una versione separata ai fini di una bieca migliore indicizzazione dei motori di ricerca. Seguite questo link per leggere l'intero articoloLINK

Livello di spoiler: A CATINELLE

[la recensione può essere letta anche da chi non vuole spoiler, seguite le istruzioni]

Iniziamo con la carrellata di immagini di impatto...

Pioggia.
Pioggia sempre, ovunque, intensa, che non lascia respiro, che opprime tutto.
Maremma maiala impestata quanto odio la pioggia, ci sono momenti in cui mi sembra di impazzire, soprattutto quando succede per una settimana di fila. Il clima è cambiato, è inutile negarlo, non c’è più il singolo acquazzone primaverile che rinfresca tutto… no, se deve piovere ci dobbiamo sorbire una scassata di maroni ininterrotta per più giorni consecutivi. Immaginatevi ora una Tokyo moderna in cui, senza un motivo apparente, inizia a piovere e non smette più, per settimane intere. Una roba che se fosse comparso Brandon Lee a rantolare: “Non può piovere per sempre”, il protagonista esasperato l’avrebbe preso a smascellate in faccia con il cricket di un autoarticolato.
Pioggia...
Weathering with you - La ragazza del tempo
parte esattamente con questa premessa e, devo ammetterlo, lo spunto è alquanto intrigante. Il protagonista è Hodaka Morishima, un sedicenne che, per motivi non propriamente spiegati, nell’estate del 2021 decide di fuggire dalla famiglia e dall’isola in cui vive, per tentare l’avventura in una Tokyo sfavillante e per nulla accomodante nei confronti di un fuggiasco minorenne. Ah, povero ingenuo, ancora non sa in quali pasticci andrà a cacciarsi! Problema della pioggia a parte, l’arte dell’arrangiarsi nella grande metropoli non sarà facile per nulla; per sopravvivere, accetta la proposta di Keisuke Suga, un personaggio un po’ strambo che gli ha salvato la vita durante la traversata sul traghetto e che gli offre un lavoro presso la sua agenzia editoriale, oltre a vitto e alloggio, in cambio di una paga ridicolmente bassa. Può forse Hodaka rifiutare? Insieme a Keisuke vive Natsumi, una ragazza appassionata di esoterismo e stramberie varie. Proprio in seguito ad un nuovo incarico assegnato da Keisuke, Hodaka e Natsumi iniziano una ricerca sulle cosiddette “ragazze del tempo”, figure avvolte dal mistero che, secondo antiche leggende locali, sarebbero in grado di fermare la pioggia e regalare, solo per un lasso di tempo limitato, un spicchio di sole e serenità a chi ne fa richiesta. Durante la ricerca, Hodaka incontra Hina Amano e scopre che è proprio una ragazza del tempo in grado di fermare la pioggia: diventeranno amici, inizieranno un business per regalare sole e felicità in cambio di un modico prezzo e presto la loro vita svolterà, tanto da “poter addirittura cambiare il mondo”, come dice l’io narrante. E quando scopriranno che sarà necessario un sacrificio umano per fermare la devastazione che sta colpendo Tokyo, si renderanno conto di trovarsi di fronte a scelte molto più grandi di loro, che sono solo due semplici ragazzini delle superiori.
Effetto di Hina, la ragazza del tempo...
Lo so, raccontata così la storia sembra molto avvincente ed interessante, ma siamo alle solite. Makoto Shinkai prende un ottimo spunto di partenza e cerca di costruirci su un lungometraggio infarcendolo di tutti i temi ed elementi ai quali ci ha abituati con i lavori precedenti. Il Nostro arriva dal successo planetario di Your Name., diventato l’anime più visto nella storia del cinema, e l’eredità fatta di titaniche aspettative stava proiettando un’ombra enorme su qualunque cosa avrebbe estratto dal cilindro. Non è facile ripetersi dopo un tale successo, in casi del genere le strade sono due: squadra che vince non si cambia, per sperare di bissare la formula; oppure tentare una strada completamente diversa, ribaltare tutto quello che si è costruito fino a quel momento, prendendosi anche una bella dose di rischio, e percorrere sentieri ancora inesplorati.
Beh, nonostante nelle interviste abbia dichiarato il contrario, Shinkai ha palesemente scelto la prima strada, quella più facile, cercando però di inserire ogni tanto delle svolte improvvise e diverse, la più importante nel finale (ci arriveremo nell’apposito, spoilerante paragrafo). A mio avviso, il risultato non è stato del tutto convincente. L’espressione che più mi viene in mente per descrivere Weathering with you è: Comfort Zone, quella in cui Shinkai si è adagiato e dalla quale non si è più mosso.

Volemose bene!

Prendiamo la prima parte della storia: tutti i suoi marchi di fabbrica sono stati inseriti di forza e ce li ritroviamo spiattellati uno di fila all’altro. 
Lui e lei, in una relazione sentimentale che supera lo spazio e il tempo? C’è.
Il tema del confronto tra antico e moderno, villaggio e metropoli? C’è. Sottile, ma c’è.
Il misticismo come filo conduttore e deus ex machina? C’è.
Piani paralleli, realtà e fantasia, uniti da un sottile filo? C’è. Anche se questa volta la bilancia pende di più sul piano reale.
Haruki Murakami? C’è, il film trasuda Murakami da ogni fotogramma… e c’è anche una piacevole sorpresa, ne parliamo più avanti.
Gatti? C’è. Uno, ribattezzato Rain, raccattato per strada in un giorno di pioggia e, no, non c’entrano Andrea e Luciano.
Tema del viaggio? C’è.
Treni? Hai voglia, Tokyo ne è piena, vuoi forse perdere l’occasione di sfoggiare la Yamanote dal momento che le scene toccano Shinjuku, Shibuya, Ikebukuro ed altri quartieri famosi della capitale?
Uccelli? Uhm… forse no, potrebbe essere l’unica eccezione, ma chissà che non me ne sia sfuggito qualcuno.
L’io narrante con voce lamentosa e colma di tristi presagi? Purtroppo sì, è presente.
E… e... la pioggia? Sì, tanto che, rispetto alle altre opere, qui diventa il punto focale dell’intera narrazione, non solo nei primi quindici minuti ma per tutte le quasi due ore del film.
Quando parlo di comfort zone, mi riferisco a questo mischione di tematiche, alcune delle quali appena accennate ma sempre presenti, che connotano il film come fortemente shinkaiano. Termine orrendo, ma è anche giusto dare a Makoto quello che è di Makoto: l’avevo già scritto nella monografia principale, da tempo il regista è riuscito a trovare una propria dimensione, smarcandosi dal pesante confronto con Miyazaki, tanto che ora il suo marchio di fabbrica è riconoscibile ed evidente, al di là dello splendido impianto audio-visivo, uno dei migliori mai visti finora, forse giusto un mezzo gradino più sotto rispetto a Your Name. a causa di una preponderanza della CGI, che in alcune scene è fin troppo evidente e poco nascosta come invece era avvenuto mirabilmente del film precedente.
Il gatto Ame (pioggia in giapponese)
Da queste parole è facile intuire quali siano gli aspetti positivi di questo film e, soprattutto, quali quelli negativi. Ecco, il problema è proprio questo: mi sono avvicinato a Weathering with you senza conoscere alcunché, non mi sono visto nemmeno il trailer. Volutamente non ho voluto sapere nulla di nulla, mi sono messo a guardarlo con la mente libera da preconcetti ma… ecco, in realtà sapevo già tutto: cosa aspettarmi, cosa incontrare, cosa mi avrebbe emozionato, cosa mi avrebbe fatto storcere il naso e come si sarebbe arrivati alla conclusione della storia. Intendiamoci: non perché io sia un genio, tutt’altro; chi, come me, si è sparato tutta la filmografia di Makoto, dopo Your Name. è perfettamente in grado di capire come andrà a finire. Ecco il problema della comfort zone; probabilmente il regista ci si è affidato troppo, andando ad inficiare in modo negativo il giudizio finale. Ovviamente il voto, che avrete già visto, comprende anche molti aspetti positivi che controbilanciano un po’ quelli che mi hanno deluso.

Non è un artwork, ma un fotogramma tratto dal film...

Andiamo nel dettaglio, partendo dai pro.
Non c’è storia, visivamente Weathering with you è splendido. Io adoro il fotorealismo con cui Shinkai progetta e disegna i fondali e le ambientazioni. Di film in film, grazie al budget che ha a disposizione, la qualità aumenta costantemente. Tavole superbe, splendidi giochi di luci e ombre, costruzione delle scene mirabile, colori sgargianti che bucano lo schermo quando rompono la monotonia delle grigie giornate di pioggia; dettagli su dettagli, ciascuno riprodotto con maniacale perfezione e ricchezza (con anche un, forse, eccessivo product placement), riflessi ovunque e tanto altro ancora. Ogni elemento si fonde con gli altri contribuendo a creare una fortissima atmosfera in grado di catturare l’attenzione dello spettatore. Davvero, da questo punto di vista Shinkai si è superato. Purtroppo i personaggi, come in Your Name., non raggiungono ancora il livello di animazione dello Studio Ghibli, anzi in più di un punto ho trovato dei peggioramenti rispetto al passato, con movimenti troppo legnosi o artefatti. È solo una nota stonata, niente che possa rovinare la goduria visiva a cui ci troviamo di fronte. Anche il comparto sonoro è grandioso: i Radwimps, dopo Your Name., sono stati nuovamente chiamati a firmare una piacevole e frizzante colonna sonora j-pop-rock. Come anticipato nei paragrafi iniziali, l’ambientazione ha un tocco di originalità che ho apprezzato; l’idea di una pioggia torrenziale opprimente che funesta la sola Tokyo permette a Shinkai di esagerare con i suoi giochi di luce, oltre a creare un'atmosfera a tratti struggente e malinconica (ma mai ai livelli di 5 cm al secondo). Ultima nota positiva: seguendo il tracciato dell’opera precedente, anche qui abbiamo finalmente dei comprimari degni di nota, ben caratterizzati e creati con furbizia per piacere a tutti i costi. Era ora che si uscisse dal binomio del duo protagonista: sai che palle due ore solo con loro, la noia non può che fare capolino!

Tokyo dall'alto

Ma come in tutti i film di Shinkai, di aspetti negativi purtroppo ce ne sono. Mai una volta che provi a superare se stesso per creare un’opera non vuota, quello no, ma almeno non superficiale. È questo il grosso difetto che muovo a Shinkai, e più ancora in Weathering with you, proprio perché tutti abbiamo invano aspettato la Grande Svolta.
No, i punti deboli di Shinkai ci sono ancora tutti, tanto da diventare essi stessi un inconfondibile marchio di fabbrica: sceneggiatura che parte con uno spunto interessantissimo ma che non si sviluppa decentemente per coprire due ore di storia; certi passaggi di trama sono anche fin troppo affrettati, privi del dovuto approfondimento. Lo stesso destino accomuna un po’ tutti i personaggi, soprattutto quello di Hina. I protagonisti di Shinkai sono dei cliché, arrivano quasi alla fine della storia esattamente così come l’hanno iniziata. Non crescono, non si sviluppano adeguatamente ma… ecco, vivacchiano nel ruolo che il regista ha assegnato loro. Di Hodaka non sappiamo nulla, solo che è scappato dall’isola in cui viveva. All’inizio lo vediamo con diversi cerotti su naso e guance, una possibile ipotesi può essere che il ragazzo sia scappato da una situazione familiare non facile fatta di soprusi e violenze: ma non lo sapremo mai. Vogliamo parlare di Hina? Senza entrare nei dettagli, la sua monodimensionalità non cambierà durante la narrazione, anzi, alla fine non sarà che un semplice strumento narrativo, senza il necessario approfondimento che un personaggio chiave come il suo dovrebbe richiedere. Cosa la spinge ad accettare il proprio destino? Quali sono i pensieri, le paure, il background che la portano a decidere in un certo modo invece che in un altro? Tutto appena abbozzato, come se fosse un personaggio non protagonista. Peccato. La stessa storia è sconclusionata, ha momenti di stanca e, proprio quando potrebbe decollare veramente, si avvoltola su se stessa perdendosi in banalità trite e ritrite. In altre parole: proprio quando è arrivato il momento di osare, Shinkai si fa prendere dalla cacarella, ritira la manina e rimette tutto sui consueti binari… la sua stramaledettissima comfort zone, sempre lei, mannaggia la miseria ladra.
Ma sapete una cosa? Nonostante tutto, vi devo confessare che… il film funziona. Emoziona. Gioca con sentimenti di facile presa, non si perde in inutili spiegoni (finalmente!) e si lascia guardare senza troppi problemi fino al finale, croce e delizia del film.

Tokyo ha un attimo di respiro... che meraviglia!

Paragrafo SPOILER! SPOILER A CATINELLE! PIOGGIA DI SPOILER!
Vi ho avvisati.

Fino a metà film la storia è bellissima, poche ciance. Poi arriva qualche momento di stanca, ma niente di così tragico, è come se il regista volesse prendere il fiato per la volata finale. A tre quarti si palpita, dai che si decolla, dai che la storia arriva alla Grande Svolta, ma… puff. Tutto visto e stra-visto. Hina è la prescelta per il sacrificio, lei lo sa benissimo, così come sa che soltanto sparendo e diventando acqua, potrà salvare Tokyo dalla catastrofe. E così fa, lasciando Hodaka e il fratellino soli in una città dove i raggi solari fanno finalmente capolino tra i grattacieli, regalando agli abitanti la speranza della rinascita. La disperazione del ragazzo è palpabile, è ovvio e scontato che lui non accetti l’epilogo, così inizia la personale sfida per raggiungere la dimensione dove è salita Hina, per riprenderla e riportarla indietro. Bellissimo l’inseguimento in mezzo ad una Tokyo allagata, ma il momento clou del ricongiungimento con Hina è… deboluccio. Perché banale e scontato, sai già che andrà a finire così, che la salverà e la riporterà indietro. Il secondo finale della storia, dopo un salto temporale di tre anni - espediente narrativo che piace molto ai nostri amici orientali, soprattutto nei drama coreani, chi li conosce capirà benissimo cosa intendo - presenta un guizzo apprezzabile rispetto a quanto visto poco prima. Hodaka finalmente si diploma, ritorna a Tokyo dove spera di trovare Hina pronta ad aspettarlo… e così sarà. L’incontro tra i due è reale, il loro abbraccio pure e noi spettatori non dobbiamo immaginarci nulla. Avviene sotto il cielo plumbeo di una Tokyo nuovamente, perennemente annegata nella pioggia. Hina si era sacrificata per salvare il mondo, ma l’amore e - attenzione! - l’egoismo di Hodaka l’ha riportata tra noi, condannando l’intera città a ritornare alle piogge incessanti. La leggenda è chiara: solo il sacrificio della ragazza del tempo fermerà le acque. Hodaka e Hina si sono guardati negli occhi e si son detti: fanculo la pioggia, tenetevela, noi vogliamo vivere senza sottostare alle vostre stupide leggi e superstizioni.
Dai, ditelo che ha citato Mila e Shiro...
Io il messaggio l’ho apprezzato e, per certi versi, l’ho trovato anche un pizzico originale. È il riscatto contro il precostituito, uno schiaffo a ciò che gli altri vogliono da noi, è la ribellione dell’adolescente in un momento critico della propria vita: perché buttarla via, perché per una volta non si può provare ad essere egoisti e pensare a sé stessi? Il concetto è stridente se pensiamo alla mentalità nipponica dove la società e il collettivo comandano, a volte in modo opprimente, sul singolo individuo. Che sia un messaggio tipico della narrativa di formazione non è un mistero, anzi Shinkai ci manda un indizio grande come una casa fin da una delle prime scene: durante il primo viaggio verso Tokyo, il ribelle Hodaka sta leggendo “Il giovane Holden” (“The Catcher in the Rye”), iconico romanzo di formazione adolescenziale scritto da J.D. Salinger nel 1951. Con triplo avvitamento carpiato, l’accostamento con Haruki Murakami è servito ancora una volta: il famoso scrittore è stato il traduttore dall’inglese al giapponese proprio di Salinger, contribuendo alla sua diffusione anche nel paese del Sol Levante. Ma l’accostamento con il grande scrittore non può, ovviamente, finire qui. Ci sono alcuni chiari rimandi a “Kafka sulla spiaggia” (2002, 2008 in Italia): entrambi i protagonisti sono adolescenti in fuga, incontrano personaggi strani e misteriosi, e assistono a piogge di pesci che cadono dal cielo, in un mondo dove il confine tra la dimensione reale e quella fantastica è infinitamente sottile.
Prima di saltare alle conclusioni, ci sono ancora un paio di considerazioni che meritano un ulteriore warning per spoiler, perché c’è un accenno anche del finale di Your Name.. Mi rendo conto che mezza recensione oscurata per spoiler possa risultare monca, ma non rovinare il finale a chi non vuole è una forma di rispetto a cui tengo particolarmente.

Cliccate per vedere cosa sta leggendo Hodaka...

Ancora SPOILER! Non solo su Weathering with you, ma anche su Your Name.! Vi ho avvisatiiiiihhh! E dueeeeeehhh!

A Shinkai piace giocare con i rimandi alle opere precedenti, a volte prendendo bonariamente in giro gli spettatori, con easter egg fini a se stessi. È il caso di questo film, in cui i due protagonisti di Your Name. fanno la loro fugace comparsa; Mitsuha è la commessa di una gioielleria che aiuta Hodaka a scegliere l’anello, il regalo di compleanno che il ragazzo intende fare a Hina. Taki compare invece nella scena in cui sua nonna chiama Hina e Hodaka durante il loro business della “ragazza del tempo” per far smettere di piovere. In questa linea temporale Taki e Mitsuha non si sono ancora incontrati sulle scale nella scena clou di Your Name. (lo sappiamo dal manga e dal romanzo); entrambi i film sono ambientati nel 2021, quindi nel pieno di una Tokyo allagata dal temporale perenne, eppure, quando finalmente Taki chiede a Mitsuha qual è il suo nome… c’è una splendida giornata di sole. Ovviamente i fan si sono scatenati in congetture su una ipotetica trilogia shinkaiana dove il terzo film annoderà i fili di entrambe le storie in un qualcosa di strepitoso ed eclatante. Ricordatevelo, sono nato per essere smentito, ma sono certo che non succederà niente di tutto questo. L’unica teoria che posso accettare a denti stretti è quella del multiverso, dove tra gli infiniti universi che si generano ad ogni decisione e snodo cruciale, ce n’è uno in cui Taki e Mitsuha si metteranno insieme non tra i raggi di un sole primaverile e sotto i ciliegi in fiore, ma in un pantano degno dello stagno de La Banda dei Ranocchi. Per la cronaca, anche Tessie e Sayaka, i due amici comprimari di Your Name., hanno un cameo in Weathering with you, precisamente nella scena in cui Hina rischiara il cielo per la prima volta dopo essersi messa in società con Hodaka e possiamo vedere le reazioni stupite di alcuni presenti. In realtà è puro e semplice fan service, niente di più, niente di meno, per quanto io trovi sempre affascinanti le speculazioni sui destini incrociati di personaggi appartenenti ad opere diverse, ma inseriti in universi narrativi simili (o paralleli).

Mitsuha

Taki

Sayaka e Tessie (sgamati!)

Squarci di cielo oltre le nubi! [fine spoiler]

Considerazioni sull’edizione italiana
Il film è stato proiettato al cinema nella consueta formula dei tre giorni da Nexo Digital, il 14, 15 e 16 ottobre 2019. Il riscontro è stato buono, tanto che le proiezioni hanno goduto di due giorni bonus il 5 e 6 novembre. L’edizione italiana è curata da Dynit, nota per garantire ottimi adattamenti e doppiaggi (niente Kazé e soprattutto niente stupri dell’italiano e oscenità cannarsiane alla Lucky Red, per fortuna). 

Questa scena va vista in movimento...

Conclusioni
Alla domanda: “Consiglieresti di guardare Weathering with you?”, rispondo affermativamente, senza dubbio. Il film non raggiunge purtroppo i livelli del predecessore, finendo schiacciato dal confronto. Shinkai ha avuto paura, non ha osato, e ha tirato fuori un film gradevole, visivamente sbalorditivo, che non eccelle però nella svolgimento narrativo, finendo per appiattire sia i personaggi, sia lo svolgimento della trama. Probabilmente il problema sono anche io, che carico di aspettative “adulte” un prodotto che non vuole averle. È molto probabile che il target principale non sia la mia generazione, ma quella successiva (o anche due), un adolescente o un ventenne potrebbero apprezzarlo molto di più di quanto non lo abbia fatto io. In ogni caso la delusione affiora, ma lascia presto il posto alla dolce sensazione di aver comunque visto un bel film. Promosso, indubbiamente, ma per me resta un mezzo passo indietro nella carriera del regista, a cui auguro di spiccare il volo. Shinkai ce la può fare, i mezzi li ha, deve solo trovare uno stramaledettissimo sceneggiatore con i controcoglioni che gli metta nelle mani una storia che farà esplodere il mondo dell’animazione giapponese. Io ci spero ancora, ed è la stessa speranza, ahimé sempre più flebile, che ho nei confronti del Maestro Michael Bay: quanto vorrei una sceneggiatura solidissima da far detonare con infinite palle di fuoco reali senza CGI? Lo so già, è inutile che me lo diciate, sono solo sogni mostruosamente proibiti.

 
Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 6,5
Mezzo passo indietro rispetto a Your Name.. Solito spunto iniziale davvero interessante, per il resto la storia regala pochi sussulti e procede col pilota automatico. Personaggi poco più che cliché abbozzati, per il resto c’è uno scarso approfondimento che mi ha lasciato con un retrogusto amaro.
Musiche: 7
Ottima colonna sonora, diamo pure il bentornato ai Radwimps, che offrono una prestazione solida, anche se non ho trovato i pezzi cantati veramente memorabili.
Regia: 8,5
Secondo mezzo passo indietro. Intendiamoci: visivamente è un film sbalorditivo, come quasi tutti quelli di Shinkai. Purtroppo più di una scena presenta dei cali di qualità, probabilmente dovuti ad una maggiore fretta realizzativa.
Ritmo: 7
Parte benissimo, rallenta nel mezzo, accelera sul (doppio) finale. Nulla di nuovo, Shinkai ci regala spesso situazioni del genere. Non è noioso, altro punto a suo favore, esattamente come con Your Name.
Violenza: 5
Poco da segnalare. Qualche scena drammatica stile yakuza-movie, che per me hanno pure stonato nel contesto in cui sono state inserite, ma niente di trascendentale.
Humour: 5
Film decisamente serio, giusto qualche scenetta simpatica ma niente di più.
XXX: 1
Nulla da segnalare. 
Voto Globale: 7,5
Per gioco, ho confrontato i voti che ho assegnato a Weathering with you con quelli dati a Your Name., d’altronde il paragone tra i due film è inevitabile. Tranne qualche eccezione, in media qui c’è un punto di voto in meno in tutte le sezioni. Non è certamente un caso, per me non siamo ai livelli del predecessore, vuoi perché avevo aspettative enormi, vuoi perché non ho trovato dei significativi miglioramenti nei soliti, noti punti deboli di Shinkai, anzi, l’impianto narrativo nell’ultima prova ne esce leggermente indebolito. Makoto Shinkai poteva fare un balzo, invece è indietreggiato. Più volte ho citato l’espressione comfort zone per spiegare cosa intendo, e lo ribadisco anche in sede di commento. Shinkai non ha voluto osare e questo è il risultato. Mezzo voto in più come punteggio bonus per i fondali e i disegni, sono un valore aggiunto che non è possibile ignorare. Gli effetti della pioggia sono incredibilmente immersivi: ve ne renderete conto con i vostri stessi occhi!

martedì 31 marzo 2020

Morte a 33 giri (1986) | Recensione

Morte a 33 giri
Voto Imdb: 5,8
Titolo Originale:Trick or Treat
Anno:1986
Genere:Horror
Nazione:Stati Uniti
Regista:Charles Martin Smith
Cast:Marc Price, Tony Fields, Lisa Orgolini, Glen Morgan
Li riconoscete? Ozzy, Tony Fields e Gene Simmons...
ecco un buon motivo per vedere il film (l'unico?)

Ci sono ricordi che rimangono a lungo sopiti nella mente per poi riaffiorare così, all'improvviso, senza un perché, di botto; magari sotto la doccia, o durante una passeggiata, o mentre chiacchieri con amici coetanei a rinvangare sul passato, oppure ancora imbottigliati nel traffico dell'ora di punta in Tangenziale Est. Come spesso mi succede, questa volta sono in meditazione zen sul Trono di Ceramica. E come un fulmine a ciel sereno, nel silenzio tombale che circonda l'immobile e catatonica realtà di questi giorni così assurdi ed inquietanti, una vocina mi strilla: "Oh, bella zio, te lo ricordi lo Zio Tibia?" [1]
Cazzo, sì!
Zio Tibia in tutto il suo... ehm... splendore
Lo Zio Tibia, quel pupazzo marcissimo che anticipava le notti horror di Italia 1 durante la mia adolescenza... certo che me lo ricordo, fa parte di quel mosaico di ricordi di un periodo che vorrei poter rivivere all'infinito come se mi trovassi in un lunghissimo "giorno della marmotta". Alcune tessere del mosaico sono ovviamente mancanti, sono dunque costretto a leggere su Wikipedia per rinfrescare la memoria: ecco il titolo che ricordavo, Venerdì con Zio Tibia, la seconda stagione che andò in onda nell'estate del 1990. Ripercorro l'elenco dei film trasmessi, facendo una spunta mentale su tutti quelli che ricordo di aver visto... magari non necessariamente in quell'occasione ma, ecco, per gran parte dei casi, sì: Venerdì 13, Chi è sepolto in quella casa, episodi assortiti di Ai confini della realtà, L'ululato, Brivido e... Morte a 33 giri. Gli occhi si fermano su quel titolo, ci rimugino sopra aggrottando le sopracciglia, infine arriva l'illuminazione. Ecco un tassello mancante! Vacca boia, è proprio vero, l'ho visto una volta sola, quella notte del 7 settembre 1990, e col tempo ho finito col rimuoverlo nonostante abbia lasciato un buon ricordo in me. Beh, quale migliore occasione per rimestare in questo paiolo di ricordi e vedere se è vero quello che ho creduto di aver dimenticato? Recupero il titolo, pigio su play e... wow! Colonna sonora da urlo! Metal a profusione! Il protagonista è il classico sfigato che le prende da tutti, ma... aspetta, ha una faccia che credo di aver già visto. Cedo alla curiosità, metto in pausa, faccio una ricerca sul cast e... ma è Skippy, l'amico di Alex in Casa Keaton. È proprio lui, carramba che sorpresa! Sorrido scuotendo la testa e riprendo la visione.
Trama!
Poteva forse mancare la cameretta iper-metal-accessoriata?
Eddie "Ragman" (Marc Price) è il solito adolescente sfigato di metà anni '80, appassionato di heavy metal (tra le copertine dei suoi 33 giri e i poster nella cameretta troviamo Megadeth, Anthrax, Judast Priest, Twisted Sister, Mötley Crüe, Ozzy Osbourne, KISS e altri che non ricordo) e per questo motivo pesantemente bullizzato dai soliti stronzi deficienti del liceo. Il più grande idolo di Eddie è Sammi Curr (Tony Fields), controverso artista metal uscito proprio dal suo stesso liceo, che inneggia a riti satanici, sgozza pitoni sul palco per berne il sangue, si presenta come un misto di Rob Halford e Ozzy ed è seguito da orde di ragazzini, tanto che in molti lo definiscono l'ultimo cavaliere dell'Apocalisse o qualcosa del genere. Durante uno dei soliti giorni tristi trascorsi a scuola, Eddie subisce una pesantissima umiliazione da parte del bullo Tim; a nulla valgono i tentativi degli amici Roger (Glen Morgan) e Leslie (Lisa Orgolini), tipica gnocca colta dallo spirito della crocerossina ed inspiegabilmente invaghita del nerd: dalla bocca di Eddie, Tim riceve una bruciante invettiva: "Non so come, non so quando, ma te la farò pagare!".
"Il disco è tuo!" - Gene Simmons sa essere molto ambiguo
(e qui assomiglia a Billy Crystal in Harry ti presento Sally)
Mentre tutti ci domandiamo cosa ci possa essere di così terrificante nell'insignificante minaccia del poveraccio, e proprio mentre Eddie scrive una commovente lettera da fan a Sammi Curr, arriva la notizia della morte del cantante, arso vivo in un rogo dell'hotel in cui alloggia. Sconvolto dalla notizia, Eddie va a trovare l'amico Nuke (Gene Simmons), un DJ radiofonico della sua cittadina, che conosceva personalmente Sammi. Visto lo stato del ragazzo, il DJ gli fa uno splendido, inaspettato regalo: il 33 giri inedito dell'ultimo album di Sammi, che sarà trasmesso in anteprima nella notte di Halloween. Incurante dello sguardo inquietante di Nuke, Eddie torna a casa felice, mette il disco sul piatto e si rende conto che c'è qualcosa che non va. Avvezzo a nozioni di riti esoterici, prova a riprodurre il disco al contrario, ed ecco che si svela l'arcano. Grazie a quel disco, è possibile evocare lo spirito demoniaco di Sammi, che promette il compimento della vendetta di Eddie. A farne le spese per prima sarà la tipa di Tim, la quale per poco non ci lascia le penne, e poi Tim stesso, salvo per un soffio da una morte orrenda. Spaventato dalla piega che stanno prendendo gli eventi, Eddie prova a rompere l'incantesimo ma una serie fortuita di avvenimenti farà accadere l'esatto opposto, l'evocazione di Sammi che compare in tutto il suo furore metallaro, mezzo volto riarso dal rogo, cipiglio luciferino, labbra nere come le piume di un corvo. E per Eddie inizia una corsa contro il tempo, l'impossibile missione di fermare il demone che inizia a seminare il terrore nella solita anonima cittadina americana durante la notte delle streghe.
La cattiveria di Sammi Curr ritratta nel poster nella cameretta di Eddie
Commento!
Ed evocazione, infine, fu!
Lo ammetto, ho cercato di abbellire la trama per renderla più interessante, ma sappiate che così non è. La storia è semplice, a tratti ingenua, per nulla spaventosa e ricca di cliché della filmografia horror di quegli anni, il tutto senza il minimo cenno di splatter o uccisioni cruente. Questo aspetto mi ha lasciato alquanto spiazzato, ad essere sincero; un po' i ricordi offuscati del quattordicenne che ero, un po' la convinzione che ci doveva pur essere un motivo per cui questo film è diventato nel tempo un piccolo cult, ma mi aspettavo litri di sangue e uccisioni fantasiose a ritmo di un sano metal. Invece il film ha preso un'altra direzione, rendendolo quasi divertente da vedere nonostante non abbia nulla di comico ma soltanto un (retro)gusto kitsch. Morte a 33 giri diventa quindi un simpatico omaggio agli stereotipi horror e al metal, mantenendosi leggero e innocuo, nonostante alcune (poche) scene degne di essere ricordate. Gli effetti speciali sono abbastanza dozzinali e pacchiani, l'interpretazione degli attori è appena sotto il livello della decenza tranne quella di Tony Fields, davvero convincente nei panni di Sammi Curr, ma c'è un punto a favore del film che, davvero, s'innalza impetuoso ed offusca tutto il resto:
IL METALLO.

Nella forma e nelle note dei Fastway, band britannica che ha firmato tutti i pezzi della colonna sonora. Oggi come oggi, se appena appena vi piace il genere, penso che quei pezzi siano da recuperare per ri-ascoltarli in macchina a volume sostenuto. Per il resto non c'è molto altro da aggiungere, il film scorre via senza che vi lasci la sensazione di aver buttato 100 minuti della vostra preziosa esistenza, ma nemmeno senza lasciare un segno indelebile nella memoria. Musica a parte, ci sono però un paio di osservazioni da fare...


Mirabolanti effetti speciali

Scena Cult 1
Le scene cult
  • La più interessante è verso il finale; lo spoiler è minimo ma necessario. Sammi Curr irrompe finalmente durante il ballo della scuola, esattamente a mezzanotte di Halloween, e lo fa nel modo più plateale possibile. Tra lampi e fulmini sbuca dall'impianto della band insignificante che sta suonando in quel momento, prende il posto del front-man ed inizia a schitarrare come un forsennato. Il pubblico, convinto che si tratti di un convincente travestimento di Curr (oggi diremmo "cosplay"), si esalta come non mai ed inizia a ballare indemoniato. Al culmine dell'estasi, Sammi fa partire delle mega saette dalla chitarra, che carbonizzano quelli della prima fila, iniziando una sana, cruenta carneficina. Come anticipato, non c'è nulla di splatter, anzi la sequenza è pure ridicola nella sua innocenza... ma agli occhi di un esagitato quattordicenne che doveva ancora vedere Nightmare (sono arrivato dopo), quello era tutto. 
  • All'inizio Eddie deve subire una brutta umiliazione da parte del bullo, a causa del quale finisce nudo come un verme nella palestra delle ragazze... e mentre cerca pateticamente di scappare con le chiappe al vento, la cheerleader stronzetta riesce a fargli una foto con una polaroid. Ammetto di aver sghignazzato: oggi il tizio sarebbe stato riempito dai flash degli smartphone, ma nemmeno ieri avrebbe potuto salvarsi dal pubblico ludibrio. Cambiano i tempi, cambiano i mezzi, ma l'idiozia umana regna sempre sovrana!
  • La tv locale trasmette il sermone di un reverendo, che si scaglia contro il satanismo e il pessimo influsso del metal sulle menti deboli dei giovani. Aguzzi lo sguardo e, quando realizzi chi è l'attore, scoppi in una bella risata. Genio! Stiamo parlando di Ozzy Osbourne, ovviamente.
Ozzy Osbourne nei panni del reverendo.
Il cast
Ai tempi erano tutti insignificanti (camei a parte), ma alcuni attori, in un modo o nell'altro, successivamente hanno lasciato il segno. Vediamo chi o come:
  • Se siete stati attenti, avrete intravisto il nome di Gene Simmons durante il riassunto della trama. Direi che non ha bisogno di ulteriori presentazioni: il bassista dei KISS ha fatto da attore in altri mitici film, non posso non ricordare Runaway (di Michael Crichton con Tom Selleck) e Detroit Metal City (film demenziale giapponese, che ho recensito qui)
  • Ozzy Osbourne. L'ho citato nel punto precedente, non aggiungo altro.
  • Marc Price (Eddie). Marc ha legato il suo nome praticamente solo a Skippy di Casa Keaton. Tante altre parti minori ma per me, fan di Alex (Michael J. Fox), quel telefilm avrà sempre un piccolo posticino nel cuore, splendida sigla inclusa.
  • Tony Fields (Sammi Curr). Ballerino, è stato memorabile in A Chorus Line e in alcune partecipazioni ai videoclip di Michael Jackson (Thriller e Beat It) prima di lasciarci prematuramente nel 1995.
  • Glen Morgan (l'amico Roger). Questo è stato in realtà l'unico suo ruolo come attore; Morgan è oggi un acclamato sceneggiatore a cui dobbiamo la saga di Final Destination e gran parte degli episodi della serie cult X-Files insieme al creatore Chris Carter.
  • Doug Savant (Tim il bullo).  Chi l'ha seguito, lo avrà sicuramente riconosciuto nelle prime cinque stagioni di Melrose Place (era Matt)
  • Il regista Charles Martin Smith: nato come attore (American Graffiti, Starman, un ruolo minore ne Gli Intoccabili), ha esordito alla regia con questo film e, in seguito, ha firmato successoni come: l'episodio pilota di Buffy l'ammazzavampiri, Air BudL'incredibile storia di Winter il delfino 1 e 2...
Alex (Michael J. Fox) e Skippy (Marc Price) in Casa Keaton

Conclusioni
Morte a 33 giri merita dunque una visione? Devo riconoscere, ahimè, che questo film ha un target molto circoscritto: l'adolescente degli anni '80 (e forse '90), e chi oggi era adolescente in quegli anni. Dubito fortemente che possa piacere a giovani di oggi, l'horror ha cambiato faccia più volte e questo film è troppo leggero, banale ed ingenuo, troppo ancorato al suo essere anni '80, senza grosse pretese o spunti memorabili per chi vuole qualcosa di forte. In poche parole, è invecchiato male, non è minimamente attuale ma, se vi riconoscete nel target di riferimento, potrà ancora farvi passare una serata in relax e moderato divertimento. Un punto a favore, lasciatemelo aggiungere, è il titolo italiano, che ho trovato molto azzeccato, più del titolo originale (Trick or Treat), banale richiamo ai dolcetti e scherzetti della notte di Halloween.
Un film più recente che riprende le sue atmosfere, le estremizza risultando altrettanto godibile con l'aggiunta di una violenta dose di splatter a delle cattive citazioni metal, è Deathgasm (2015), che consiglio spassionatamente agli amanti del genere.

[1] La mia vocina interiore è tamarra, dovreste averlo capito da un pezzo.

Leslie (Lisa Orgolini) e gli inspiegabili occhi a cuoricino verso il protagonista.

Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 5
Banalotta, piena di cliché e pochi spunti memorabili. Diciamo che non è proprio il suo forte.
Musiche:
8
La colonna sonora dei Fastway è fantastica, ed è assolutamente il punto di forza dell'intera produzione. Da ascoltare più volte, ovviamente deve piacervi il genere (direi glam metal?)
Regia: 6
Budget ridicolo: difficile fare di meglio, sinceramente. Ma certe ingenuità e diverse prove di attori poco convincenti non lo rendono un film memorabile.
Ritmo: 6,5
Scorre via che è un piacere, aspetto che ho decisamente apprezzato.
Violenza: 5
Potenzialmente avrebbe potuto diventare un film memorabile e distruttivo, ma la leggerezza con cui scorre via gli impedisce di raggiungere un punteggio più elevato.
Humour: 5
Oddio, non fa ridere volontariamente, qualche scena provoca un leggero tremolio delle labbra... ma non esageriamo, suvvia.
XXX: 6
Fan service gratuito in un paio di scene, come da contratto per un horror di quegli anni.
Voto Globale: 6
Mi sento buono, la sufficienza la regalo per avermi fatto divertire, per il gustoso omaggio al metal di quegli anni, per qualche idea carina e ben realizzata. Ma difficilmente Morte a 33 giri può essere definito una pietra miliare del genere, nonostante oggi sia diventato un mini-cult per i non più giovani.

mercoledì 25 marzo 2020

Summer of 84 (2018) | Recensione

Summer of 84
Voto Imdb: 6,7

Titolo Originale:Summer of 84
Anno:2018
Genere:Thriller
Nazione:Stati Uniti, Canada
Regista:François Simard, Anouk Whissell, Yoann-Karl Whissell
Cast:Graham Verchere, Judah Lewis, Caleb Emery, Cory Grüter-Andrew, Tiera Skovbye, Rich Sommer

Foto corale del gruppo di nerd dentro la loro casetta dei giochi (sì, fa tanto Goonies)
Signori, amici, affezionati lettori che mi avete dato per disperso, naviganti approdati qui per caso o per sfiga: mi spiace per voi, sono ancora qui tra voi e, per cause di forza maggiore, è tornato il momento di guardare film e buttare giù le quattro cazzate che ho voglia di esternare subito dopo i titoli di coda, cosa che da un paio di anni riesco a fare sempre più raramente. Ma la quarantena, il tanto tempo a disposizione, la voglia di evadere con tutti i mezzi la fanno da padrone, ed eccomi qui a guardare e recensire Summer of 84, un film indipendente abbastanza sconosciuto, da tempo presente nella mia lista per merito (o colpa?) dei registi che si firmano con l'acronimo RKSS, finiti nel mio mirino grazie al bellissimo Turbo Kid (2015, recensito qui).
In tutte le mie recensioni parto con l'intenzione di essere breve, vediamo se stavolta ci riesco (spoiler: no, fallisco miseramente, esattamente come i RKSS. Oddio, è uno spoiler nello spoiler, uno spoiler multi-livello, una matrioska di spoiler, mi complimento da solo!)

Cabinati inventati
Trama
Anno 1984, siamo ad Ipswich, città dell'Oregon. I protagonisti sono quattro quindicenni: Davey, Tommy 'Eats', Caleb e Cory, alle prese con le loro noiosissime vacanze estive, nella classica cittadina americana ricolma di anonime villette a schiera, dove non succede assolutamente nulla e la vita scorre avanti sonnacchiosa e l'unico modo per rompere la monotonia, a parte giocare, chiacchierare e fare battute da nerd sfigati, è far viaggiare la fantasia. Ma qualcosa o, meglio, qualcuno, rompe lo schema che si trascina avanti da settimane. Un serial killer, chiamato "Cape May Slayer" (l'assassino di Cape May), che nell'ultimo decennio aveva terrorizzato la cittadina confinante con l'uccisione di tredici minorenni, manda una lettera di sfida alla polizia locale. Il protagonista Davey, dotato di fervida immaginazione nonché divoratore di libri e articoli sensazionalisti e complottisti, si convince che l'assassino sia Wayne Mackey, il gentile e benvisto poliziotto vicino di casa e amico del padre dello stesso Davey. Quando Davey crede di aver visto nella casa di Mackey un ragazzino dato per disperso, riesce a convincere i suoi amici ad iniziare una caccia all'uomo per smascherare il presunto killer. A loro presto si unirà la gnocca Nikki, vicina più grande di Davey e sogno erotico di tutti i quattro adolescenti in preda all'ormone, in un gioco che parte innocente ma che, nel proseguimento, diventa sempre più oscuro e pericoloso. Ha ragione Davey o è tutto frutto della sua deviata immaginazione?

Wayne Mackey (Rich Sommer) è lui o non è lui (il cattivo)?
Commento
Leggete la trama, guardate il trailer e i primi dieci minuti: cosa vi viene in mente? Ve lo dico subito: un frullatone di Stranger Things, Stand by me e Disturbia / La finestra sul cortile (scegliete voi quale dei due). L'idea, di per sé, non è nemmeno malvagia: per un motivo o per un altro, questi film e serie hanno lasciato un segno dietro di sé e in Summer of 84 possiamo notare come sia stato fatto un tentativo di amalgamarli in qualche modo. Purtroppo, lo dico subito, la somma delle parti risulta inferiore in tutti gli aspetti (tranne il finale), mancando il bersaglio non di poco. Cosa non va, precisamente? Vado per punti cercando di argomentare dove possibile.
1) Gli anni 80.
Lo dice il titolo, lo si capisce dai dialoghi e dalla scenografia. Questo film è l'ennesimo omaggio a quella decade a cui i non-più-ragazzini (sigh) della nostra generazione ancora si sentono tanto legati. Attenzione: non ne parlo in termini necessariamente positivi, soprattutto in questi ultimi anni di revival dove gli Eighties ce li hanno rifilati in tutte le salse e ormai stiamo arrivando a raschiare il fondo del barile. (per colpa di Capitan Marvel e Beverly Hills, tranquilli, sta arrivando il turno degli anni '90). Oggi, all'ennesimo film che omaggia quella decade, assistiamo alle seguenti due reazioni dicotomiche:
  • Ma che palle! Mi sono frantumato le gonadi! Ancora questi anni di nulla patinato! Il consumismo! La Milano da bere! La distruzione del tessuto sociale! Reagan! Gorbaciov! Electro-pop! Paninari!
  • Wow! Fantastica decade, a cui dobbiamo tutte le cose belle di oggi! Rock! Metal! I film Action! Spielberg! I videogames a casa! Il walkman! MTv! La BMX!
Pioggia di BMX
Ecco, parliamo della BMX, uno dei simboli indiscussi di quella decade. Non ce l'avevo, perché l'ho sempre trovata di uno scomodo allucinante. Pedalarne una mi dava la stessa sensazione provata da Fantozzi durante la Coppa Cobram sulla bici senza sellino, preferivo di gran lunga le bici molleggiate da cross col sellino morbido, che mi facevano apparire un po' retrò e anni '70 ma... sticazzi, la comodità veniva prima di tutto. Ecco, la BMX [1] diventa un feticcio da cui i registi canadesi di Turbo Kid e Summer of 84 non riescono a staccarsi e, a sua volta, diventa un simbolo di tutto il loro pensiero, nel bene e nel male. Vuoi omaggiare quella decade? DEVI metterci una BMX. Vuoi immergerci nelle sue atmosfere? DEVI piazzarci il synth-pop. Vuoi trasformare il film in un'operazione nostalgica? Dopo Stranger Things (e Dark) niente è più lo stesso: DEVI avere come protagonisti quattro ragazzini, sfigati e possibilmente nerd in qualcosa. Il problema è proprio questo: all'alba del 2020, se giochi a contestualizzare una storia in quel periodo e lo fai usando sempre gli stessi stereotipi, significa che non hai più nulla da dire... o stai dicendo cose dette e stra-dette, che non suscitano più sorpresa o il brivido nostalgico in chi quegli anni li ha vissuti davvero. Monopoly? Meh. Walkie-Talkie? Wow. Battute su Spielberg? Yawn. Locandine e cabinati di Asteroid? Ari-Yawn. Il font della locandina, lo stesso di Venerdì 13? E vabbè. Il pensiero che più mi ha fatto riflettere è che, in fondo, la storia è assolutamente indipendentemente dall'anno in cui si svolge: se la ambienti negli anni '90 o addirittura oggi, non cambia nulla nella sostanza (a parte qualche piccolo ovvio accorgimento tecnologico). Che sia un bene o un male non saprei dirlo, di certo non depone a favore di chi punta così tanto sull'operazione nostalgia, perché la trasforma in un lavoro fine a sé stesso e nulla di più.
2) I personaggi.
Seeeeee, come no!
Se quindi l'effetto sorpresa non può (più) arrivare dall'ambientazione, su cui si basa gran parte di un'operazione come questa, il qualcosa in più deve arrivare da altre componenti: trama e personaggi. Sulla prima non mi dilungo più di tanto (ci arrivo dopo, senza spoilerare), sui secondi qualche parola in più la spendo. Non ci siamo: qui i personaggi non funzionano. Non tanto per lo stereotipo in sé - a me non dà fastidio - quando per l'antipatia gratuita che essi provocano. Il protagonista Davey è il più decente, ovviamente, ma gli altri sono delle semplici macchiette che non aggiungono nulla alla visione; il tamarretto dalla lingua velenosa, tutto parole e pochi fatti; il gigante buono con la madre milfona oggetto di battutacce del tamarro; il nerd occhialuto che tutto sa e tutto capisce, salvo essere un fifone conclamato e che, in fondo, non capisce un emerito cazzo. E la vicina gnocca più grande, che vive il problema del divorzio dei genitori, e che trova conforto in una relazione platonica con il protagonista, cosa che tutti noi smaliziati troviamo assolutamente poco credibile. In breve: i personaggi funzionano poco e non si è creata quell'alchimia che invece è strepitosa in Stand by me, che pure i nostri RKSS conoscono bene: peccato, peccato, peccato!

3) Il doppiaggio italiano
Purtroppo è uno dei peggiori che mi sia mai capitato di ascoltare, tanto che dopo un quarto d'ora ho girato sull'audio originale con sottotitoli. Atroce a dir poco, pur non raggiungendo le vette di Viaggio verso Agartha (OK, è davvero difficile fare peggio)

Nikki (Tiera Skovbye)
Di fronte a questi grossi problemi, il mancato effetto nostalgia e la scarsa empatia verso i personaggi, uniti ad una trama non originale, si potrebbe pensare che il film sia pessimo. Invece no, Summer of 84 si salva dall'insufficienza grazie ad altri tre fattori (facciamo due e mezzo):
1) La regia
RKSS l'avevano già dimostrato con Turbo Kid, come registi ci sanno fare e sono capacissimi di confezionare un ottimo prodotto partendo da un budget assolutamente ridicolo. Eh, sì, non l'ho ancora sottolineato a sufficienza, ma stiamo parlando di registi indipendenti che non hanno alle spalle le disponibilità finanziarie messe a disposizione dalle major; quello che si vede a video è un piccolo miracolo, anche se non fa gridare come era avvenuto con Turbo Kid. Mi piacerebbe vederli alle prese con una produzione più imponente, sono certo che ne vedremmo delle belle... senza che perdano il gusto per lo splatter / gore, che qui si vede molto poco.
2) Il finale (no spoiler!)
Per tre quarti del film la storia regge bene, anche se sui binari del "già visto" e in cui ogni tanto qualche battuta a vuoto fa affiorare un pizzico di noia; escludendo un paio di scene davvero ben costruite dove si sobbalza, bisogna aspettare gli ultimi venti minuti finali per vedere un improvviso cambio di registro. La tensione si fa più palpabile fino a sfociare in un finale per certi versi sorprendente e non in linea con l'atmosfera che ci ha accompagnati fino a quel momento. Ecco, se da un lato gli ultimi minuti salvano il film da un'insufficienza piena, dall'altro aumentano il rammarico: se solo i RKSS avessero osato un po' di più anche prima, avremmo assistito ad un ottimo film. Così, invece, ci troviamo davanti ad una produzione mediocre che soccombe sotto i colpi dei termini di paragone che gli stessi registi si sono avventatamente scelti.
3) La colonna sonora
Fermi tutti: non si parla di canzoni anni '80, che solitamente infestano produzioni di questo genere (e poi invariabilmente ci avrebbero piazzato un Should I Stay or Should I Go, un The final countdown o un Walking on sunshine). Complice il risicatissimo budget, per gli autori non era probabilmente possibile acquistarne i diritti e, intelligentemente, si sono affidati ai Le Matos, che già avevamo sentito in Turbo Kid. Specializzati in synthwave, confezionano un commento musicale perfetto per le scene, facendoci calare nelle atmosfere del film. È altrettanto chiaro che se il genere musicale vi è indigesto, lo sarà praticamente tutta la visione del film, perché la musica non si discosta di un millimetro dal genere e ne pervade ogni sequenza. Io che la adoro, ci sono andato a nozze!

RKSS, il trio di registi
Conclusioni
Bocciato no, forse nemmeno promosso, Summer of 84 galleggia nel limbo della mediocrità, salvato soltanto da un sussulto nel finale. Sinceramente mi aspettavo molto di più dai registi; la loro intenzione di allontanarsi in modo netto da Turbo Kid, cosa di per sé non sbagliata, ha però fatto loro perdere di vista la visione dell'insieme e ne è uscito un film bello solo a metà. Infine, un accorato appello: basta revival anni '80, rinnovate il vostro repertorio e tirate fuori qualcosa di sorprendente! 

[1] Fra l'altro mi sono accorto che della BMX ho già parlato nella recensione in Turbo Kid e ho fatto la stessa battuta, ma ormai sono troppo pigro per cambiarla.



Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 6
La storia, piena di cliché, si trascina alternando momenti di stanca ad improvvise accelerazioni, fino ad arrivare ad un sorprendente finale. Si poteva fare meglio durante i primi tre quarti di film, probabilmente gli sceneggiatori non sono stati all'altezza dei registi.
Musiche:
7
Uno dei punti di forza del film, la colonna sonora dei Le Matos è un perfetto esempio di synthwave al servizio del film. Non ci sono pezzi cantati (ed è un peccato, No Tomorrow in Turbo Kid è una bellissima canzone), ma purtroppo non si può avere tutto.
Regia: 6
I RKSS ci sanno fare, l'ho scritto nel corpo della recensione e qui lo ribadisco. Qui pagano, probabilmente, il non aver voluto (o potuto) osare troppo, finendo con il confezionare un film anonimo e privo di mordente. Ma va anche detto che, col risicatissimo budget a disposizione, hanno tirato fuori un prodotto visivamente ben fatto.
Ritmo: 5,5
Il film ha diversi momenti di stanca, alcune belle scene che spiccano, ed un ottimo finale. Dura solo un centinaio di minuti ma la mia impressione è stata quella di un film più lungo: i tempi dovevano essere dosati meglio.
Violenza: 5
C'è la suspense, anche se diluita, mentre lo splatter / gore è pressoché assente (non aggiungo altro per non spoilerare)
Humour: 5
Ecco, questo è un tasto decisamente dolente, ed è colpa della sceneggiatura. Ci sono molti dialoghi tra i ragazzini che dovrebbero farci vedere com'è l'alchimia fra di loro ma... non fanno ridere, non rendono l'atmosfera e appiattiscono l'intera visione. Anche le battute e i pochi momenti divertenti si perdono in mediocrità assortite.
XXX: 2
Si vede solo la schiena nuda di Nikki. Che volevate vedere, porcelloni?
Voto Globale: 6
Un'occasione sprecata, avrebbe potuto essere un'altra piccola gemma indie, ma cade miseramente sotto i colpi dell'onnipresente Stranger Things. Un "vorrei ma non posso" che mostra notevoli limiti ed un unico, pregevole sussulto nel finale, insufficiente però a risollevarne le sorti. Se non l'avete ancora capito, visto che l'ho citato anche troppo, andate a recuperare Turbo Kid!
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...