giovedì 21 dicembre 2017

Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo (2012) | Recensione

Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo
Voto Imdb: 8,2
Titolo Originale:Ōkami Kodomo no Ame to Yuki
Anno:2012
Genere:Animazione / Drammatico / Fantastico
Nazione:Giappone
Regista:Mamoru Hosoda
Cast:Aoi Miyazaki, Takao Osawa, Haru Kuroki, Momoka Ono

Hana, Yuki e Ame
Dopo le recensioni di A Silent Voice - La forma della voce e della monografia su Makoto Shinkai, devo ammettere che ci sto provando gusto con l'animazione giapponese più recente. Tra i vari nomi di registi giapponesi attuali che, in un modo o nell'altro, possono essere considerati eredi di Hayao Miyazaki o quantomeno artefici di veri e propri film anime d'autore, era saltato fuori anche quello di Mamoru Hosoda. Classe 1967, inizia la carriera come animatore, diventando presto supervisore dell'animazione ed esordendo come regista di film cinematografici nel 2000 con Digimon, il film (2000), che in realtà è la fusione occidentale di tre mediometraggi giapponesi targati TOEI, due dei quali firmati proprio da Hosoda (Digimon AdventureDigimon Adventure: Our War Game). Il successo del film gli spiana la strada di regista a tutto tondo: dopo una non felice parentesi proprio allo Studio Ghibli durante la quale è chiamato a dirigere il Castello Errante di Howl che però lui abbandona per divergenze con la produzione e lo staff "anziano" dello studio, torna in TOEI per dirigere One Piece: L'isola segreta del barone Omatsuri (2005), il sesto lungometraggio della serie. Lasciata nuovamente la TOEI, Hosoda approda in Madhouse, uno degli studi d'animazione giapponesi più famosi extra-Ghibli: il riuscitissimo film La ragazza che saltava nel tempo (2006) è quello che lo consacra come regista di successo; arrivano poi Summer Wars (2009), acclamato da critica e pubblico, Wolf Children (2012) e The Boy and the Beast (2015). Gli ultimi due lungometraggi si sono rivelati veri e proprio successi al botteghino, proiettando Hosoda nell'olimpo dei registi più richiesti e seguiti. Con questa recensione parleremo di Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo, quello che tuttora è considerato il suoi miglior film. Sarà vero? Sarà falso? Scopriamolo insieme (immaginatevi un tono alla Piero Angela).
Hana e il futuro marito
La storia inizia con una voce fuori campo, quella di Yuki, che racconta le vicende di sua madre Hana, la vera protagonista indiscussa del film. Siamo a Tokyo: la studentessa universitaria Hana osserva sempre più spesso uno strano ragazzo che segue il suo stesso corso. La colpisce il suo essere diverso dagli altri: gentile con tutti, ma solitario e taciturno, probabilmente dotato di grande forza interiore. La ragazza inizia a parlargli e a conoscerlo meglio. È ovvio e scontato come andrà a finire: i due si innamorano ed iniziano a frequentarsi, fino a quando non arriva il fatidico momento che lui tanto temeva: la rivelazione del suo terribile segreto. Il ragazzo, infatti, è l'ultimo uomo lupo sopravvissuto nell'era moderna. Un licantropo. Ma Hana non è una tipa che si perde d'animo. Accetta il ragazzo così com'è, senza rifiutarlo ma, anzi, accogliendolo tra le sue braccia. I due iniziano così la loro vita insieme e presto Hana rimane incinta: non sapendo cosa potrebbe uscire dal grembo (dubbio legittimo, no?) prende l'ardua decisione di partorire da sola, in casa. La nascita della bambina Yuki riempie di gioia e felicità i due novelli genitori che, un anno dopo, sfornano il fratellino Ame. I problemi, quelli grossi, iniziano quando il tanto amato uomo lupo, durante uno dei suoi giri in cui è alla ricerca atavica di cibo per i propri cuccioli, viene ucciso per errore, lasciando così una vedova sola e disperata e due orfani difficili da crescere. Eh, sì, perché presto i bambini riveleranno la loro duplice natura di bimbi e lupi, trasformandosi continuamente nell'una o nell'altra forma. Per Hana diventa sempre più dura vivere in una metropoli come Tokyo con la necessità di celare ai vicini e ai servizi sociali la vera natura dei suoi figli. Quando viene brutalmente sfrattata di casa con l'accusa di ospitare dei cani, vietati dal regolamento condominiale, Hana prende una drastica decisione: abbandonare la città e trasferirsi nella montagna più sperduta, dover poter crescere i figli con più tranquillità. La vita non è per nulla facile: deve ristrutturare da sola una catapecchia, deve iniziare a produrre cibo da sé non avendo un reddito fisso, deve continuamente tenere d'occhio i bimbi-cuccioli affinché non facciano troppi danni; Yuki, la sorella maggiore, è esuberante, piena di energia, curiosa come non mai, e sempre pronta a cacciarsi nei guai con il grosso rischio di trasformarsi in lupacchiotta nei momenti meno opportuni; il fratellino Ame invece è timido, taciturno, riservato, indeciso su come accettare veramente se stesso. Presto Hana trova la sua dimensione nel paesino, grazie alla benevolenza della comunità, i cui abitanti sono abituati ad aiutarsi reciprocamente nelle avversità; ma è proprio la comunità a dare altri interrogativi su Yuki e Ame: prima o poi i ragazzini, cresciuti, dovranno andare a scuola, e lì chissà quali altri guai potranno arrivare?
L'uomo in versione lupo
Vi ho raccontato in dettaglio giusto i primi quindici/venti minuti: non è necessario andare oltre, lascio a chi è davvero incuriosito il piacere di scoprire come la storia si evolve e cosa succederà a Hana, Yuki ed Ame. Per quanto mi riguarda, devo ammettere che il film ha colpito davvero nel segno. Dopo i primi cinque minuti, mortalmente lenti al punto da farmi temere di guardare un pippone clamoroso, la storia si fa interessante, briosa, drammatica, avvincente senza soluzione di continuità fino ad arrivare ad una fine che, forse arriva pur fin troppo improvvisamente. Wolf Children è un'opera molto strana, ma mai noiosa e mai sopra le righe. Hosoda riesce a mantenere un tono leggero, quasi da commedia, scendendo nel dramma e nella tensione nei momenti giusti e senza mai esagerare. Ad aiutare ci sono gli splendidi disegni dei fondali e la struggente colonna sonora. Un valore aggiunto è il character design di Yoshiyuki Sadamoto, che gli appassionati di anime conoscono sicuramente grazie alla sua collaborazione con lo studio Gainax: suoi i disegni dei personaggi per lo splendido lungometraggio Le Ali di Honneamise (1987) e le serie Il Mistero della Pietra Azzurra (1990) e Neon Genesis Evangelion (1993), dopo i quali inizia il suo sodalizio con Hosoda, per il quale firma il character design di tutti i suoi già citati lungometraggi. Il suo tratto spigoloso anni '90 si è evoluto con volti più morbidi e relativamente semplici da disegnare, garantendo però in questo modo una altissima qualità dell'animazione dei personaggi, tanto che più volte mi ha dato l'impressione di aver adottato la tecnica del rotoscope (riprese di attori reali su cui è stata sovraimpressa l'animazione disegnata dei personaggi). Molto più semplicemente, si deve essere trattato del ricorso di animazione in CGI, usata grandiosamente in molte scene ariose dove è la natura (boschi, montagne, fiumi) a diventare una memorabile co-protagonista. 
Yuki inizia a far danni
Wolf Children non è una storia di super-eroi, anche se viene toccato un tema fantasy; è invece una assurdamente realistica rappresentazione della vita di tutti i giorni di Hana, che deve fronteggiare ogni tipo di problematica, grande e piccola, data da infiniti dilemmi quotidiani. È la storia del coraggio di una madre e di come due bambini crescono fino a riuscire, in un modo o nell'altro, a trovare un loro posto nel mondo. Sta a Yuki e ad Ame scegliere la propria dimensione, se privilegiare il proprio lato umano o quello più selvatico di lupo. Hana, più semplicemente a dirsi che a farsi, è stata quella che ha permesso loro di trovare una risposta, nel modo migliore possibile - non in assoluto, ma al meglio delle proprie capacità. Non c'è complimento migliore che si possa fare ad una mamma, e Hana è una delle eroine normali migliori che mi sia capitato di vedere in un lungometraggio d'animazione.
Splendida regia e splendidi fondali
I complimenti, indubbiamente, vanno tutti proprio a Mamoru Hosoda che ha firmato non solo la regia, ma anche il soggetto e la sceneggiatura. La sua più grande abilità è stata quella di raccontare una storia solo apparentemente semplice, riempiendola però di molti significati e simbolismi. In Wolf Children, per esempio, i nomi hanno un significato ben preciso e sono associati al momento in cui i personaggi sono nati: Hana, che significa "fiore", fu chiamata così perché quando lei nacque suo padre rimase colpito dalla fioritura delle cosmee presenti nel suo giardino e sperava che la vita della figlia sarebbe stata colma di felicità nonostante le difficoltà della vita (per questo la ragazza madre sorride sempre); Yuki ("neve") nacque durante una nevicata mentre Ame ("pioggia") durante un temporale; senza dare troppi spoiler, è sempre durante un temporale violento che Ame decide di fare la sua scelta e di percorrere il suo nuovo cammino. Questa scena è, tra l'altro, la dimostrazione di come Hosoda non abbia lasciato nulla al caso: l'autore aveva le idee chiare fin dall'inizio e si è dimostrato coerente per tutta la durata della storia. Un altro semplice ma efficace esempio è proprio verso l'inizio, quando Hana si è appena trasferita in montagna e, in un momento di calma, osserva i due figli e parlando più a se stessa che a loro, chiede ad entrambi se un giorno decideranno di diventare umani o lupi. Guardate attentamente come i bimbi reagiscono alla domanda della madre: non con le parole, ma con la postura o i movimenti. L'autore si è divertito a darci la risposta praticamente subito, anche se il percorso scelto da entrambi riserverà più di una sorpresa. Concludendo il discorso dei nomi, ho trovato curioso il fatto che l'uomo lupo è in realtà l'unico personaggio a non avere un nome; né Hana né la voce narrante Yuki ci rivelano come si chiamasse e, a dirla sinceramente, non è nemmeno fondamentale che noi ne veniamo a conoscenza. Non è importante l'averlo appreso, o meglio, lo è di più sapere che non ci è stato rivelato; di lui sappiamo solo che è l'ultimo della specie, mentre tutto il suo passato è ammantato di mistero e riserbo. 
La dura vita di campagna
Wolf Children non è, però, un film perfetto, purtroppo c'è qualche piccolo difetto che mi ha impedito di dargli un voto più alto. Se da un lato ho parlato di disegni semplici ed efficaci per ottenere una superiore qualità dell'animazione, d'altro canto non posso non notare come il tratto dei personaggi sullo sfondo appaiano davvero brutti e sgraziati; tolti i personaggi principali, tolto il vecchio contadino burbero che aiuta Hana, gli altri peccano di scarsa personalità e carisma, diventando semplici elementi di sfondo. Questo è un aspetto che, per esempio, nei film dello Studio Ghibli non avviene perché ogni singola scena e ogni singolo movimento vengono studiati in modo veramente maniacale. Il secondo difetto di Wolf Children è il finale. Non tanto per quello che succede (a me è piaciuto davvero tanto e l'ho trovato perfettamente coerente con tutti gli elementi che l'autore ci ha presentato durante lo svolgimento del film), quanto per come ci si arriva. Si ha purtroppo l'idea che la fine sia arrivata in modo troppo repentino ed improvviso, in aperto contrasto con la struttura narrativa dilatata, quasi lenta, adottata fino alla sequenza finale. Avrei certamente preferito un maggiore bilanciamento dei tempi narrativi ed un maggiore approfondimento delle dinamiche che hanno portato a quello che Hosoda ci ha mostrato su video. Va però anche detto che è stata senz'altro una scelta precisa e fortemente voluta, perché il regista eccelle proprio nel "far intuire senza realmente mostrare".
Il vecchio brontolone
Ho tenuto per ultima una considerazione sulla versione italiana: finalmente un adattamento ed un doppiaggio che rendono giustizia al valore dell'opera. L'edizione, ad opera della Dynit, è davvero di pregevole fattura e la qualità di voci e recitazione si mantiene su livelli ottimi. Altro aspetto non da poco, l'adattamento italiano segue la versione originale giapponese (come è giusto che sia) e non quella americana, che presenta molte linee di parlato in più che riempiono di inutili spiegoni e dettagli inventati i momenti di silenzio. Un solo piccolo appunto: talvolta la voce dei personaggi viene sovrastata troppo dalle musiche, col risultato che si perde parte di quello che viene detto. Niente di così grave, comunque.
Casa di Hana
In conclusione, Wolf Children è uno splendido lungometraggio d'animazione, poco convenzionale nonostante la storia semplice, che merita senza ombra di dubbio di essere visto. Ha una bellissima qualità audiovisiva, arricchita da carrellate e sequenze registiche d'effetto (molte parti non vengono nemmeno narrate: le scene si susseguono semplicemente accompagnate dalla musica, perché non c'è bisogno d'altro per capire quello che ci viene raccontato). È la storia di un personaggio eccezionale nella sua normalità, è anche una storia di crescita e di come sia possibile arrivare a trovare un proprio posto nel mondo e nella società. C'è chi vede un parallelo di chi vive da mezzosangue, metà giapponese e metà occidentale, che non sempre viene visto di buon occhio nella rigida struttura sociale giapponese. Lo lascio come spunto, può essere una interessante ed alternativa chiave di lettura dell'intero film. In definitiva, uno dei migliori prodotti recenti che meritano di essere scoperti anche in Italia, grazie all'ottima edizione della Dynit e che è, tra l'altro, presente del catalogo di Amazon Prime Video (chiunque sia cliente Prime lo può vedere in streaming gratuito e legale).
Guardatelo e non ve ne pentirete.

Altro esempio di fondale


Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 7
La storia è apparentemente semplice, ma è ben strutturata, coerente, interessante. Si perde leggermente con un finale per me troppo frettoloso.
Musiche: 7
Ottima colonna sonora, di qualità così come spesso ci hanno abituato le produzioni più recenti.
Regia: 8
Ottimo sia visivamente che registicamente, con tante belle chicche e sequenze ben studiate. Promosso su tutta la linea.
Ritmo: 6
I primi cinque minuti mi hanno fatto pensare al peggio, per fortuna la storia acquista un suo ritmo, pur risultando lenta nel suo incedere.
Violenza: 4
Poca roba.
Humour: 6,5
Ci sono diverse scene leggere e buffe, soprattutto quelle in cui i bimbi lupi fanno disastri.
XXX: 3
Poco da segnalare.
Voto Globale: 8
Un gran bel film da scoprire, apparentemente semplice ma in realtà profondo ed emozionante, con tre personaggi da ricordare a lungo, Hana su tutti. Delicato, poetico, leggero e drammatico: raramente si arriva ad un equilibrio simile!

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