giovedì 21 aprile 2022

[Speciale] [Extra] Gian Piero Aschieri - Ti ricordi chi eravamo? | Romanzo (2022)



Quanti di noi hanno nel cassetto un romanzo, una storia, un racconto? Ebbene sì, ci sono anch'io e negli ultimi mesi ho deciso di rispolverarne uno lasciato lì da anni, in attesa di trovare il coraggio di riprenderlo, correggerlo, sottoporlo a persone capaci e fidate, correggerlo nuovamente grazie ai loro suggerimenti e decidere di proporlo in self-publishing tramite la piattaforma di Amazon. Seguendo il link pubblicato a fine articolo sarà possibile andare alla pagina del romanzo e decidere di acquistare la versione ebook o quella cartacea.
È un romanzo breve (sulle 200 pagine circa) o, se preferite, racconto lungo; chi un po' ha imparato a conoscermi tramite le pagine sconclusionate di questo blog, potrà scoprire che la storia ha un registro molto diverso dai temi qui trattati. Ebbene, sì: non è un romanzo fracassone con esplosioni e risse con cartoni in faccia, ma è un racconto intimista e introspettivo.
Il protagonista si chiama Giovanni ed è un po' "uno di noi": superata la trentina ancora non sa quale direzione dare alla propria vita e, proprio mentre deve decidere tra il continuare con il solito anonimo tran tran quotidiano e il seguire il sogno di una vita (la scrittura), riceve la telefonata di un vecchio amico che non sentiva da anni. Quella voce che temeva di aver perso nella nebbia dei ricordi lo risveglia dal torpore. Matteo, questo è il nome del suo amico, lo invita a una cena di classe, un raduno dei vecchi compagni del liceo. Titubante e non propriamente a suo agio, Giovanni accetta e decide di tornare a Milano, la sua città natale da cui si era allontanato molto tempo prima.
Che effetto farà rivedere persone ora sconosciute ma che un tempo avevano condiviso una fetta così importante della sua vita?
Giovanni non sa rispondere a questa domanda, è diviso tra il timore di scoprire dei perfetti sconosciuti e la curiosità di sapere cosa ne è stata delle loro vite.
Ma la voce di Matteo ha risvegliato anche una serie di altri dolorosi ricordi legati a Irene, una enigmatica ragazza di quel periodo così magico, eccitante, travolgente. Ci sarà anche lei? E se sì, che effetto sarà incontrarla? Con mille dubbi, accompagnato da nuovi ricordi che diventano sempre meno disincantati e sempre più realistici e inquietanti, Giovanni parte alla ricerca di se stesso e nel corso della cena farà scoperte sorprendenti a causa delle quali sarà infine costretto a fronteggiare il suo passato per salvare la propria vita.
Cosa troverà? Chi troverà?

Questo racconto si sviluppa su due piani temporali diversi, il presente dei primi anni Duemila e il passato nel pieno degli anni Ottanta, vissuti con gli occhi di un adolescente "normale" che si avventura nei meandri di una relazione complicata con Irene mentre attorno a lui sfrecciano le esistenze dell'amico di una vita Matteo, del pazzo esuberante Pablo, della timida Simona e di tutti gli altri compagni di classe del liceo, quelli che tutti noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere da adolescenti.

Titolo: Ti ricordi chi eravamo?
Autore: Gian Piero Aschieri
Disegno di copertina: Flavia Flàme -> Flavia Flàme - Disegni e altro ancora
Progetto grafico: Marco Delmiglio
Genere: drammatico, slice of life, romanzo di crescita

Una nota sulla copertina: il bellissimo disegno è stato eseguito da Flavia, vi consiglio di visitare la sua pagina Facebook dove pubblica le sue ultime creazioni. Fidatevi, ne vale davvero la pena! Ringrazio anche l'amico Marco Delmiglio per il progetto grafico fondamentale per dare alla copertina un aspetto professionale.



Io spero che il romanzo possa piacervi, ci ho messo tanto di me stesso. E se vi piacerà, vi chiedo di condividerlo tra amici e conoscenti, spargete la voce, fate sì che possa raggiungere quante più persone possibili!
Infine un'ultima raccomandazione: lasciate una recensione sulla pagina del libro su Amazon, sarà un valido strumento per la sua diffusione ;-)

Last but not least: continuate a seguirmi perché un secondo romanzo è in cantiere. Non rivelerò nulla, se non che sarà una space opera fantascientifica - proprio tutt'altro genere e sicuramente più sulle corde di questo blog, vero? Stay tuned!

giovedì 16 dicembre 2021

Il giorno sbagliato - Unhinged (2020) | Recensione

Il giorno sbagliato - Unhinged
Voto Imdb: 6,00

Titolo Originale:Unhinged
Anno:2020
Genere:Thriller
Nazione:Stati Uniti
Regista:Derrick Borte
Cast:Russell Crowe, Caren Pistorius, Gabriel Bateman


"Chiedi scusa!"

Come disse Gino Bartali: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”
Fonti non confermate mi dicono che avesse pronunciato queste parole dopo aver visto Il giorno sbagliato - Unhinged. Giuro!
Beh, in attesa di scoprire se i servizi segreti deviati ci hanno preso o se mi hanno passato una notizia infondata corredata di babbi da mangiare in un autogrill discutendo di rinascimento in stati dittatoriali, diciamo che sono comunque parole che ben si adattano a questo film. Unhinged è tutto sbagliato, dall’inizio alla fine, e la cosa mi spiace moltissimo perché è coinvolto un attore che ho sempre apprezzato, Russell Crowe.
Un giorno sbagliato può capitare a chiunque, intendiamoci.
Allo sfigato che imbrocca la fila giusta nel giorno in cui distribuivano la sfiga.
A Capitan Uncino quando si fa il bidet con la mano sbagliata.
A Luca Giurato quando azzecca un congiuntivo.
A chi si imbatte in questo film e in questa recensione.
Vai di trama! 
No, ma facciamo esplodere una casa, cosa sarà mai?
Tom Cooper (Russell Crowe) è decisamente incazzato e disturbato. Un bel giorno impugna un martello e una tanica di benzina, va a casa dell’ex-moglie e compie un massacro, uccidendo lei e il nuovo fidanzato. Non contento, incendia la casa e inizia a girare indisturbato per la città. Non lo vede nessuno (!), pertanto può deambulare per la cittadina come se niente fosse successo; a fare cosa, non si sa. E poi c’è la protagonista Rachel (Caren Pistorius), cronica ritardataria, piena di problemi personali e che sta iniziando le pratiche di divorzio dal marito. Ha un figlio adolescemo a metà tra il saputello irritante e il bimbominkia nerd in perenne modalità non-rompermi-le-palle. Quella stessa mattina, imbottigliata nel traffico e alle prese con una telefonata di lavoro in cui minacciano di licenziarla perché ha stancato con i suoi ritardi e, tra l’altro, in preda all’ansia perché sta accompagnando il figlio a scuola con un altrettanto ovvio ritardo mostruoso, Rachel ha l’ardire di suonare il clacson inveendo proprio contro Tom Cooper, il quale le ordina di chiedergli scusa, cosa che lui, con affettata e dilagante gentilezza, ha già provveduto a fare. E lei come risponde?
 
Lo insulta con tanto di dito medio. 
La protagonista col bimbominkia
Chi non lo farebbe in un momento di stress nel mezzo del traffico cittadino? È un atto catartico, lo faccio pure io stando ben attento a tenere i finestrini chiusi perché se è vero che gli altri guidatori sono miei nemici, è altrettanto vero che gli insulti che lancio loro non è così fondamentale che vengano davvero recepiti, è solo uno sfogo. Anche se ogni tanto mi indico la bocca urlando “LO CAPISCI IL LABIALE, STRONZO? EH? EH?” Insomma, non prendiamoci in giro, l’arte italica dell’insulto al volante è sacra e intoccabile, è un classico italian-state-of-mind come il “Ma vaffanculo” al casello automatico che ti dice “Arrivederci!”.
 
Il problema è che in Unhinged non siamo in Italia e che Tom Cooper non è un casello automatico, è proprio uno stronzo psicopatico. E non la prende affatto bene, anzi, a dirla tutta in lui scatta la follia omicida, tanto ha appena accoppato l’ex-moglie, cos’altro ha da perdere?: Rachel - e tutti quelli che la circondano - devono morire, semplice e lapalissiano. Inizia una corsa serrata in cui la tizia verrà perseguitata dallo psicopatico, il quale la seguirà con una non indifferente scia di sangue. 
Lo spunto iniziale, che richiama in qualche modo l’iconico Un giorno di ordinaria follia con Michael Douglas con una spruzzatina di Criminal Minds e di Duel, è invero interessante e il ritmo è serrato con poche pause tra una scena e l’altra. L’interpretazione di Russell Crowe torna ad essere convincente nella parte negativissima del villain ma… ma… ecco il grosso “ma”. 
La sceneggiatura. Ve lo dico col cuore: è scritta davvero con una parte anatomica piuttosto morbida che non comprende le mani e nemmeno i piedi. 
Due le criticità più evidenti:
  1. il personaggio di Rachel è particolarmente odioso e insignificante, tanto che risulta impossibile immedesimarsi e prenderne le difese. Che ce la faccia o non ce la faccia, alla fine mi è diventato del tutto irrilevante. Posso capire che abbiano voluto rappresentarla come “una di noi”, con mille problemi irrisolti, ma è nelle scelte che fa che crolla ogni empatia nei suoi confronti. Vedi punto successivo.
  2. la credibilità degli eventi narrati è prossima allo zero. Rachel compie una serie impressionante di decisioni sbagliate che rendono la sospensione dell’incredulità davvero difficile da digerire. Per non parlare della sequela inenarrabile di cazzatone assolutamente poco plausibili infilate a forza come quando cerchi di chiudere il trolley prima di salire su un volo Ryanair. O mentre cerchi di chiudere questa cappelliera:

 

Cucù, il cellulare dov'è?
Scusatemi, torniamo al film. Qualche esempio illuminante? Tom Cooper, senza che nessuno alle telecamere di sicurezza se ne accorga e senza che noi lo vediamo perché lo capiremo da una scena successiva, va nella piazzola di un benzinaio, ruba il cellulare dall’auto di Rachel e lo scambia con il suo. A pensarci bene, già di per sé quest’atto è una stronzata galattica, ma diamogli il beneficio del dubbio. Poi, mentre è alla guida del suo pick-up, Tom inizia a chiamarla, a fare foto per inquietarla meglio e, UDITE UDITE, a fare transazioni bancarie e finanziarie sul conto di lei (GIURO!). Il tutto senza aver dovuto sbloccare il telefonino o superare le misure di sicurezza di cui anche il più scrauso degli smartphone del 2020 è senz’altro dotato. E sapete una cosa? Lei che ha in mano il cellulare del pazzo, potrebbe fare una cosa semplicissima. Andare dalla polizia, dire loro: “Questo psicopatico mi sta inseguendo, mi è venuto addosso con il macchinone (GUARDA QUI CHE BOTTA!) e ha scambiato il mio cellulare con il suo, qui c’è tutto l’elenco delle chiamate, così potete risalire al suo nome, rintracciarlo SUBITO E FARLA FINITA!” No. Lei scappa per la città. E Tom Cooper continua imperterrito nella sua follia distruttiva. Legge il calendario di appuntamenti che la ritardataria cronica minuziosamente tiene nel cellulare, e… ah! Scusate, qui mi tocca aprire una parentesi: lo trovate plausibile che una persona così disorganizzata come la protagonista si segni tutto-tutto-tutto sul calendario dello smartphone? Dicevo, Tom Cooper legge del prossimo appuntamento e va in un ristorante a scambiare due convenevoli con il tizio che avrebbe dovuto parlare con Rachel. Poi lo uccide davanti a tutti e si allontana dal ristorante senza che nessuno lo insegua o urli dal terrore, anzi qualcuno lo riprende col cellulare invece di chiamare gli sbirri, ah che bella critica al mondo di oggi. Succede così: prima gli sfascia una tazza sul naso, poi gli sbatte la fronte sul bordo del tavolo tenendolo per il cravattino e infine lo infilza al collo con un coltello per spalmare il burro. Tutto normale, giusto? Poi piglia e se ne va, sale sulla macchina e continua a seminare morte e a inseguire Rachel. La scena è di un surreale assurdo, tanto che in alcuni punti, mentre Tom parla con Rachel e mentre uccide il tizio già insanguinato, si vede sullo sfondo la gente che si fa gli affari suoi come se niente fosse.
Vogliamo anche parlare del fatto che quando salgono sulla macchina si mettono sempre la cintura rispettosi del codice stradale, ma poi Tom e Rachel parlano al cellulare guidando senza nemmeno mettere il vivavoce? Diseducativissimo! Io chiamerei il MOIGE e il Codacons, tutto ciò è inaccettabile!
Questa mano po' esse piuma o fero...
 
No, in un film del 2020 non devo aspettarmi queste cazzate, non esiste proprio! Io sono il primo ad ignorare la credibilità delle cose se inserite in un contesto fracassone dove c’è la gara a inserire la smargiassata più tamarra (chi ha detto Fast & Furious? Cuoricini sparsi). Ma qui, dove tutto è serio, dove c’è appena sfiorato il lodevole tentativo di inserire una trama con il super cattivo sporco maschilista violento e retrogrado che ce l’ha a morte con gli avvocati divorzisti americani, mi aspetto una maggiore attenzione ai dettagli. Se da un lato l’interpretazione di Russell Crowe si salva - è perfino ingrassato per entrare meglio nella parte, penso che lo farei pure io con sommo gaudio, intendiamoci - e comunque sappiate che non è tutta panza, la sua, perché ha usato una protesi per accentuare la ciccia, dicevo dall’altra parte ben poco altro si salva. Il ritmo è serrato, è vero, ma sono sequenze senza un minimo senso logico. Lo stesso genere di film non è ben inquadrabile: è un thriller? È uno slasher? È una denuncia al sistema divorzista americano? Secondo me è un desolante insieme di tanti “vorrei ma non posso” senza però riuscire a eccellere in nessuno dei generi a cui si è accostato.
"Scusi ho una domanda, può rispondere?"
Giusto per aggiungere una critica non richiesta, parliamo del titolo italiano. Spesso le logiche dei distributori italiani sono imperscrutabili: talvolta lasciano il titolo originale, talvolta lo cambiano con altri termini inglesi (perché?), a volte usano un titolo italiano semplice, altre volte ancora si inventano titoli che non c’entrano una mazza, in qualche raro caso hanno addirittura affossato un film causa titolo infelice (ogni riferimento a “Eternal sunshine of the spotless mind” / “Se mi lasci ti cancello” è puramente casuale). In questo caso la versione italiana ha il titolo originale “Unhinged”, che qui possiamo tradurre come “lo squilibrato”, “il pazzo”, e una frase italiana: “Il giorno sbagliato”. Non posso definirlo un errore, ma chi l’ha scelto ha (deliberatamente o meno non si sa) spostato il focus; “lo squilibrato” del titolo originale è l’antagonista interpretato da Russell Crowe che, di fatto, è il vero protagonista della storia; mentre “il giorno sbagliato” è riferito a quello della vittima di turno, colei che ha la sventura di incontrare Tom Cooper. E, implicitamente, è riferito anche a noi che abbiamo visto il film, mi pare ovvio.
In conclusione, il film parte bene, è pure un discreto low-budget secondo i canoni hollywoodiani, ma naufraga a causa della scarsa plausibilità degli eventi narrati. Ed è un peccato, perché ha la giusta cattiveria, alcune scene sono perfino discretamente forti (non è un horror, sto relativizzando), ma gli manca l’intera sovrastruttura che lo sorregga solidamente. Incompiuto e poco plausibile. Russell, perché l’hai fatto?
 
Il pick-up
 


Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 4
Come spiegato nella recensione, la sceneggiatura è il vero punto debole del film. Lo spunto iniziale era decisamente interessante, ma lo sviluppo successivo lo ha mestamente affossato.
Musiche: 6
La colonna sonora non ha nulla di memorabile. MA! Segnalo una cover di “Don’t fear the Reaper” eseguita dai Keep Shelly In Athens, duo indie greco che eccelle nella childwave, un electropop rallentato spruzzato di effetto nostalgia per gli anni Ottanta. Di primo acchito mi ha fatto cagarissimo (scusate la spocchia da boomer) ma nei riascolti successivi l’ho apprezzata.
Regia: 6
Il regista Derrick Borte viene dalla scena indie, di per sé non è nemmeno un male perché alcune scene, soprattutto quelle più forti, sono ben fatte. L’impressione è che avrebbe potuto osare di più, invece si è limitato a fare il compitino. La poca attenzione nel montaggio ha fatto il resto.
Ritmo: 7
Se c’è una cosa che non manca nel film è il ritmo. Pur costellato da cazzatone mirabolanti, la tensione non scende mai, fino ai titoli di coda. È sicuramente il maggior pregio di Unhinged.
Violenza: 6,5
Certe scene sembrano tratte da uno slasher ma non posso dire altro per non spoilerare troppo.
Humour: 0
Totalmente assente.
XXX: 0
Nulla da segnalare.
Voto Globale:
5
Per me il film è bocciato. Intendiamoci: la pagnotta la porta a casa dignitosamente, ma il suo voler essere troppe cose senza mai davvero centrare il punto in ciascuno di esse è un grosso limite. Se poi aggiungiamo che la sceneggiatura è davvero pietosa perché inserisce pezzi assurdi e privi di senso in un contesto serio e con una sua logica interna, ecco, per me l’equilibrio non regge al punto da lasciarmi un po’ basito, un po’ insoddisfatto… senza eccellere in nessuno dei casi, ovviamente.



























domenica 21 febbraio 2021

Showgirls (1995) | Recensione

Showgirls
Voto Imdb: 4,9
Titolo Originale:Showgirls
Anno:1995
Genere:Drammatico, Erotico
Nazione:Francia, Stati Uniti
Regista:Paul Verhoeven
Cast:Elizabeth Berkley, Gina Gershon, Kyle MacLachlan

Nessuno ce la fa contro Nomi Malone! (Elizabeth Berkley)

Prologo

Scena 1
Studio oculistico.
“Prego, signor Verhoeven, si accomodi.” dice il dottore. “Perché è qui?”
Il regista porta con sé una scatola che sta reggendo a fatica da quanto è pesante e sul coperchio c’è un’etichetta con la scritta “Showgirls”.
“Oh.” il dottore ammicca. “Calo della vista dopo quattro mesi di riprese?”
“No.” Paul Verhoeven si accomoda nervosamente e appoggia la scatola sul tavolo, poi scosta leggermente l’apertura per permettere al dottore di sbirciare dentro.
“Oh, mio Dio.” l’uomo in camice si ritrae sconvolto portandosi una mano sulla bocca. “È ENORME. Mai visto niente di simile!”
“Mi deve spiegare.” inizia Paul Verhoeven affranto. “Perché quando faccio una stronzata così, lacrimo sempre?”
“Lei non ha bisogno di un oculista, signor Verhoeven. È sufficiente fare film decenti, vedrà che non sentirà più dolore e le lacrime spariranno.”

Scena 2
Registrazione del David Letterman Show. In studio: Kyle MacLachlan, Letterman e il Giampy.
“Raccontaci, Kyle.” dice Dave. “È vero che non eri presente alla prima di Showgirls?”
L’attore si stropiccia le mani a disagio. “No, c’ero. Mi sono seduto e ho sofferto per tutte le due ore.”
Letterman sorride. “Anche noi. Anche noi, Kyle.”
Risate del pubblico. Solo una persona non ride, è il Giampy, che osserva Kyle con sguardo acuto e penetrante. “Kyle, amico mio. Mentre giravi il film, non ti è balenato il velato sospetto che stesse venendo fuori una verammerda?”
Boato del pubblico, standing ovation, Letterman addirittura sale in piedi sulla scrivania e strappa i fogli del copione. Kyle abbozza, sorride a denti stretti e annuisce. “L’ho capito dalla prima scena. È tutto sbagliato, il film, il regista, il cast. Tutto.”

Ed ecco la recensione di questo film immondo!

Oggi parliamo del concetto di FALLIMENTO.
Con Showgirls assistiamo al fallimento:
  • del film, floppone al botteghino;
  • di Elizabeth Berkley, l’attrice principale;
  • della Carolco Pictures, casa di produzione del film;
  • il mio fallimento.
Partiamo dall’ultimo punto, il meno interessante, che spiega perché diavolo sto parlando di questo filmaccio. Ebbene, il merito (o la colpa) è di Paola, admin del gruppo Il Marsigliano Reggiano la quale, dopo aver letto qualche mia recensione, mi apostrofa con: “Davvero non hai mai visto Showgirls? Guardalo. È brutto. VERAMENTE BRUTTO. Guardalo, recensiscilo e non te ne pentirai.”
Ora: sul pentimento ho qualche dubbio, ma se qualcuno mi lancia il guano di sfida [sic] io non mi sottraggo. MAI. Ho guardato Showgirls e fin da subito sono stato avvolto da una spessa e imperforabile cappa di mestizia. Showgirls non è un film brutto, è… è… oltre. È un’operazione che non ha il minimo senso, che porta sulla scena diversi personaggi odiosissimi che fanno cose senza senso, in una successione temporale causa-effetto senza senso, inutilmente allungato (DUE ORE E DIECI) da fan service senza senso. In poche parole: una verammerda.
Perché parlo di mio fallimento? La mestizia è talmente tanta che mi risulta perfino difficile riuscire a tirare fuori una recensione decente di questo obbrobrio. Ma, ripeto, il guano di sfida è stato lanciato e io l’ho raccolto.

Notare come impugna il coltellino...
Per meglio inquadrare il discorso, vorrei porre l’attenzione sulla trama perché di tutte le cose senza senso nel film, quest’ultima occupa il primo posto di prepotenza. È ovvio che l’allupato guarderà Showgirls per altri motivi, ma proviamo un attimo ad astrarci e a guardarlo con occhio distaccato, ci renderemo conto di quante perle nascoste ci siano nella risibile sceneggiatura.
Nomi Malone (Elizabeth Berkley) ha, come tutti, qualcosa da nascondere. Sta facendo autostop in direzione Las Vegas e viene raccattata dal classico bulletto sudista sul classico pickup americano. “Come ti chiami?” le chiede lui. In tutta risposta, la tipa estrae un coltellino a serramanico e fa sbandare l’auto, rischiando una collisione che avrebbe posto fine al film prima ancora degli inesistenti titoli di testa: credetemi, forse sarebbe stato meglio così. Riportata la calma nell’auto, il tizio - invece di buttare la psicopatica giù da una scarpata - le rifà la stessa domanda: “Come ti chiami?”
“Nomi”, risponde lei.
“Che nome del...”
“Mia mamma è italiana, ecco perché mi chiamo così.”
Ho messo in pausa e ho iniziato a ridere male. Nomi. Avesse detto Mona, avrei riso lo stesso anche se per altri motivi. Ma trovatemi una cazzo di Nomi qui in Italia e vi pago una cena. Al Burger King, ché non si sa mai, io sono nato per essere smentito.
Quasi bacio (senza senso)
Comunque il simpatico duo arriva a Las Vegas e l’astuta come una faina Nomi si accorge che il bulletto è un ladruncolo da strapazzo che se l’è svignata portandosi via la sua valigia. Disperata ed incazzata come un automobilista bloccato da un gruppone di ciclisti della domenica che non riescono a pedalare in fila indiana, Nomi inizia a prendere a pugni un’auto parcheggiata di fianco. Proprio davanti alla proprietaria. Costei si chiama Molly (Gina Ravera) e deve essere davvero poco furba giacché, invece di chiamare la polizia e fare arrestare Nomi per vandalismo, la abbraccia e fa scattare di botto un’intensa inquadratura che trasuda tensione sessuale senza senso da ogni fotogramma. Le due si guardano e… Nomi diventa amica per la pelle di Molly, che la ospita a casa sua. Dai, sì, diventiamo amiche di quella che sta per sfasciarmi la macchina come se si trovasse nel bonus stage di Street Fighter II; mai vista prima, senza soldi e senza valigie, dai, raccattiamola e portiamola a casa mia, cosa ci sarà mai da temere nel Nevada?
Cristal (Gina Gershon)
Poi c’è un salto di 4 mesi, scopriamo che Molly fa la (s)costumista in un locale dalla dubbia moralità mentre Nomi viene presa come lap dancer e spogliarellista in un altro locale nonché tempio di perdizione per maschi arrapati e danarosi. D’altronde siamo a Las Vegas, giusto? Ed ecco che inizia la discesa nell’inferno di Nomi, la quale dimostra uno spiccato talento nel mostrare zizze e patonza a destra e sinistra, entrerà nelle grazie di Cristal (Gina Gershon), la DEA del locale Stardust, si innamora (forse) del manager interpretato da Kyle MacLachlan e, insomma, patapim e patapum assistiamo inermi ad un'impressionante carrellata di spogliarelli, tette, culi, patonze, ancora tette, gelosie, tradimenti, trombate improbabili in piscina, spettacoli pirotecnici assortiti di ogni tipo fino a planare leggiadri sulla scena rivelatrice dell’oscuro segreto di Nomi in cui ad essere stupiti non siamo noi spettatori, ma Nomi stessa che manco si ricorda più chi sia realmente.
Due ore e dieci di NULLA (se escludiamo le tette voluttuosamente esibite da ogni attrice di sesso femminile inquadrato nel film, ivi inclusa la matrona quasi sessantenne che fa da spalla comica), dove gli elementi di spicco sono i seguenti:

Quando dico incazzata...

  • espressione perennemente incazzata di Nomi. E quando non è incazzata, ha sempre la bocca aperta (no doppi sensi, please). E quando non fa nessuna delle due cose, esce di scena sbattendo la porta alle spalle. Sempre.
  • Due sottotrame assolutamente inutili e senza senso, quella del poeta rasta di stocazzo che ha scritto un musical ispirandosi a Nomi, lei quasi gliela dà per poi scoprire che suddetto cantautore l’ha fatto con altre tre ragazze; e quella delle unghie fighissime, cioè, qui solo se hai unghie fighissime puoi essere considerata degna di diventare la DEA dello Stardust. Sottotrama ad un certo punto sparita, annegata nell’acqua ragia.
  • tette e culi, ma non sono sicuro di averlo rimarcato a dovere.
  • Dialoghi scritti con la stessa parte anatomica di cui vediamo esempi in abbondanza, ovvero il culo.
Cristal e Nomi (credo. Non sono fisionomista)

"Uhm, per me sei un po' zoccola."
Così parlò Gina.
I problemi di questo film, è evidente da quanto ho or ora enunciato, sono diversi.
Gran parte delle colpe vanno alla sceneggiatura, che è una delle più imbarazzanti mai approvate da una major di primo livello. Non è solo un problema di trama, che non risulta credibile nemmeno dopo una sniffata di bicarbonato ricavato dalla citrosodina sminuzzata; è un problema proprio di scrittura e di dialoghi, completamente sopra le righe e inutilmente enfatici. Quelle che volevano essere battute sagaci e ad effetto, si risolvono in patetiche righe di vuoto pneumatico, dove spesso i personaggi fanno una cosa mentre la stanno negando a parole. Mi spiego meglio. Nomi e Cristal hanno un dialogo che dovrebbe essere carico di tensione ma che nella realtà è solo uno scambio di sciabolate morbide di sguardi languidi. Nel botta e risposta che nelle intenzioni avrebbe dovuto alzare la temperatura, infine Cristal dice a Nomi con voce arrochita: “Uhmmmm, per me sei un po’ zoccola.” La protagonista, incurante delle bocce mezze fuori, fa la boccuccia a culo di gallina e dice: “Chi? Io? Maddai!”
Cioè, le schermaglie fra le attrici si riducono a dialoghi di questo tipo, intervallati da coreografie che uno stambecco zoppo avrebbe eseguito meglio, e da baci simil-saffici che di erotico hanno solo l’herpes che le due si sono senz’altro trasmesse visto l’ambiente che frequentano.
Ci sono altre scene così brutte, così cringe, che meritano una citazione, vuoi per la scrittura, vuoi per la situazione assurda o imbarazzante a cui assistiamo con la mascella spalancata:
  • Nomi e Cristal, sempre loro, dialogano in un ristorante italiano apparentemente di lusso. Tra sguardi inutilmente lussuriosi, ammiccamenti e battute grevi sulle rispettive tette (!), le due iniziano a parlare di… cibo per cani che sarebbe più buono di non so cosa. Il tutto mentre Nomi violenta un barattolo di ketchup, facendogli fare una fine indegna. Ma… ma… il senso di tutto questo?
  • Prove di coreografia per il musical allo Stardust. Nomi fa quello che sa fare meglio: dimenarsi in modo disarticolato ma a quanto pare a tutti va bene così. Il top è quando prova un piegamento con mani e gambe appoggiate a terra, in posa stile tarantola, e il coreografo le urla in faccia “SPINGI SPINGI SPINGI SPINGI!”. Solo a me è venuto in mente l’imbarazzante paragone con una sala da parto? 
  • Nomi a più riprese si vanta del suo nuovo vestito VERACE (battuta resa meglio in originale, in cui storpia clamorosamente il nome in Ver-sa-syiiiie) e se ne sbatte quando la correggono. Ma quanto sei cretina? Ma li ascolti gli altri quando ti rivolgono la parola?
  • Nomi e Cristal (si è capito che il tasso di idiozia s’innalza pericolosamente quando le due donne sono in scena insieme?) provano una coreografia insieme. Nuova. MAI VISTA PRIMA NEMMENO IN PROVA. Ma è solo una bieca scusa per farcele vedere nuovamente avvinghiate, peccato non sappiano fare un passo decente. È più sensuale Renato Pozzetto con una rosa in bocca.
Le mirabolanti unghie



Spingi! Spingi! SPINGI! ("Thrust it!")

Coreografie? Sì, parliamone! Ridatemi Enzo Paolo Turchi!
Elizabeth Berkley non sa ballare.
Nemmeno Gina Gershon.
E forse neanche le vere ballerine scritturate per il film. Sembra di assistere ad un branco di facoceri che ruotano in mezzo al palco trasformato in una savana dove le primedonne si prendono a gomitate per diventare la DEA del locale. Dopo che una stessa coreografia è stata pure riciclata due volte, sono infine giunto a rivalutare Staying Alive, il che la dice lunga.

Showgirls vs Staying Alive
E qui scatta il primo confronto d’obbligo. I due film hanno in comune due cose: una storia di merda con personaggi da prendere a mazzate da quanto sono poco credibili e, appunto, i balletti. Showgirls ha una cosa che Staying Alive non ha: le tette (non so se si è capito, io nel dubbio persevero a ricordarlo). Per il resto, la regia di Verhoeven, per quanto ottima tecnicamente, non aggiunge nulla (il che mi lascia basito, vista la bravura del regista) mentre quella di Sylvester Stallone, nella sua semplicità e rozzezza, è onesta e vibrante soprattutto quando John Travolta, circondato da nuvole glitterate anch’esse senza senso, spande mascolinità a tutto spiano. Per non parlare, poi, della colonna sonora (OVVIAMENTE), con una memorabile Far from Over di Frank Stallone che ancora oggi mi gasa a mille. Insomma, Showgirls esce con le ossa rotte anche dal confronto con un film entrato nell’immaginario collettivo non certo per la sua bellezza, ma per essere un musical shakerato con bischerate assortite, nominato quale “peggior sequel della storia”.
Nonostante le astute intenzioni di regista, produttori e attrice, al cinema Showgirls fu un flop colossale, anche se recuperò tantissimo nel mercato dell’home video, mentre Staying Alive, in barba alla stroncatura della critica, fu un grande successo commerciale entrando nella top ten dei film più visti nel 1983.

Il cast
E qui casca l’asino.
Kyle MacLachlan.
Ma quanto è ridicolo il taglio?
Se pensavate che il problema fosse solo la sceneggiatura, magari salvata da interpretazioni convincenti delle attrici (e attori), beh, vi sbagliate di grosso. Il cast in realtà affonda nella mediocrità più totale. Non se ne salva uno, davvero. Kyle MacLachlan, probabilmente il nome più noto allora (inutile ricordarvi pietre miliari quali Twin Peaks, Dune, L’Alieno e The Doors, giusto?), qui pare capitato per caso, completamente incosciente del carrozzone in cui è finito dentro. Ha sempre un’espressione a metà tra l’ebete e il ghigno da “adesso te lo tronco io”. Poi di lui si vedono perfino delle chiappe marmoree quasi botticelliane e mi fa strano l’ingenuità dello stesso attore che dichiarò di essere convinto di fare un film artistico. Gina Gershon, che fino ad allora era nota per Danko, Cocktail e Melrose Place, esibisce una costante smorfia da schiaffi e una scarsa convinzione quando deve esibirsi nei balletti. Ce la vedo, con l’entusiasmo iniziale, che scema di ripresa in ripresa quando inizia a realizzare dove è finita.
Bayside School (*sospiro*)
E, infine, Elizabeth Berkley. No, vi risparmio tutta la tiritera su Bayside School, la sitcom adolescenziale simbolo del periodo fine anni ‘80 e primi ‘90 (di cui non mi perdevo un episodio: a me piacevano di più le altre due attrici, Tiffani Amber-Thiessen e Lark Voorhies), concentriamoci su Showgirls. Berkley ha scommesso tutto su questo film. Vorrei davvero prendere la macchina del tempo, tornare indietro nel 1995, sedermi di fianco a lei e dirle: “Cara Betta. Cosa diavolo ti fa pensare che dimenarti nuda per tre quarti di film possa essere una rampa di lancio per il successo? Il problema non è solo la percentuale di centimetri quadrati di pelle esibita, figuriamoci. Ma davvero recitando come se ti avessero messo il peperoncino di cayenna sulle chiappe ti fa pensare di puntare dritta al Golden Globe? Con quelle battute ridicole? Con quelle scene assolutamente prive di logica? Vorrei farti vedere l’elenco dei Razzie Awards vinti come peggior attrice dell’anno, la nomination di quella del decennio, il flop al botteghino, il fatto che il tuo agente ti avesse abbandonato dopo la prima proiezione, il fatto, infine, di aver terminato la tua carriera con questo film perché dopo ti sono state offerte solo delle misere particine. Ne è davvero valsa la pena, Bettina mia? Pensaci bene.”
No, lei è andata avanti a testa bassa e il culmine, il top, il momento catartico di tutto il film arriva inaspettato come la TARI a primavera: la trombata con Kyle MacLachlan in piscina. Quello che doveva essere il momento più hot del decennio, si trasforma in una scena che se fosse stata diretta dai famigerati ZAZ - Zucker-Abrahams-Zucker di Top Secret! e Una Pallottola Spuntata sarebbe entrata negli annali della comicità. Kyle mostra le terga ed entra in piscina con una bottiglia di champagne. Lei lo segue e - TRUCCATISSIMA - si inabissa. Tutti noi pensiamo che inizi a gonfiare il canotto ma no, lei gli passa sotto, sbuca dall’altra parte e, ancora TRUCCATISSIMA (come è possibile ciò? Ha usato l’eyeliner UniPosca?) inizia a cavalcarlo a bordo piscina. Solo che si fa leggermente prendere la mano e fa partire una serie grottesca di movimenti scattosi che provocano schizzi tipo elica di un fuoribordo; è come se lui percuotesse un cencio con un battitappeto sul bordo del fiume Gange, non so se rendo l’idea. Il contrasto è ancora più stridente se si ripensa alle doti scoperecce dimostrate da Kyle con la Rossellini in Velluto Blu e a quelle diametralmente opposte nella parte del marito impotente di Charlotte in Sex and the City. Ma qui, quando tutto finisce, lo spettatore resta inebetito, indeciso se scoppiare a ridere o provare pietà per la povera attrice. 
Purtroppo per lei, le colpe se le è prese tutte il regista troppo tardi, in un’intervista del 2013, in cui è lui stesso a dire: “Sono stato io a chiederle di recitare in quel modo. Eravamo convinti che fosse il ruolo giusto, ma ho sbagliato. La mia carriera è andata avanti lo stesso pur faticando un po’, ma la sua è stata proprio stroncata. Ed è un peccato, perché Showgirls è un film [udite udite!] CHE NON È STATO CAPITO dal pubblico.”
AAAAH!
Il pubblico: espressione un po' così.
Un po’ come Marty McFly davanti al pubblico anni ‘50 che, dopo aver suonato energicamente Johnny B. Goode e vista l’espressione esterrefatta della gente, dice: “Forse oggi non siete ancora pronti. Ma ai vostri figli piacerà.” (cit. Ritorno al futuro, per i debosciati che non l’hanno colta.)
No, caro Paul! Non solo hai diretto una solenne cagata, tu continui imperterrito a dirle! Showgirls è davvero un film brutto che non ha nulla di satirico o di denuncia contro la situazione delle spogliarelliste di Las Vegas. Vorrei poter tanto trovarci la feroce critica al sogno americano presente negli altri tuoi film, ma devo dire di aver fatto davvero molta fatica a vederla. Non mi sembra sufficiente il lasciar intendere: “Oh, il mondo dello spettacolo è una merda che succhia il sangue (e i soldi) ai papà di famiglia bigotti che di giorno fanno i perbenisti e di notte infilano banconote nelle mutande delle spogliarelliste. Un mondo schifoso dover per emergere tu devi essere il primo a fare schifo.” No, non basta, non è sufficiente perché il tema è solo sfiorato ed è poderosamente scavalcato (e cavalcato) dalle esibizioni della povera Berkley. Non puoi combattere l’idea della mercificazione del corpo femminile sbattendolo costantemente in primo piano senza una vera idea dietro. È solo una grottesca operazione senza né capo né coda, fatta solamente perché avevi un impegno precedente con la casa di produzione, ti sei ritrovato una sceneggiatura pagata a peso d’oro che nessuno poteva permettersi di buttare via, hai provato a bissare il successo di Basic Instinct con lo sceneggiatore Joe Eszterhas, hai cercato di salvare il salvabile ma, no, l’hai affondato definitivamente grazie alla tua direzione artistica. Volevi salvare Mario Kassar, il boss della Carolco, ma gli hai solo anticipato una inevitabile fine con colpi pelvici ben assestati. Poi il flop di Corsari nello stesso anno ha concluso degnamente l’opera demolitrice.

Da queste righe si può capire come questo film abbia fatto acqua da tutte le parti. Ergo è monnezza allo stato puro e, per forza di cose, arrivati a questo punto, bisogna porsi la domanda delle domande:

Showgirls è migliore o peggiore di Robotropolis?
Guardate il voto. Quello vero, intendo. Sì, gli è andato pericolosamente vicino. Di solito i film che competono con Robotropolis sono tutte produzioni low-budget dove nemmeno il genio o il guizzo di qualche idea permettono loro di emergere. Showgirls è il primo film di una major a giocarsi il titolo… ma ve l’ho detto, il tema di questa recensione è il FALLIMENTO. Sì, Showgirls fallisce pure ad essere peggiore di Robotropolis. Perché? Andiamo ai punti.
Trama: Showgirls è peggiore, indubbiamente. Di poco, eh.
Musica: Showgirls ha una buona colonna sonora (se hai un po’ di extra budget, è chiaro che puoi permetterti gli U2, tanto per dirne una, o David Bowie con I’m afraid of Americans, scelta invero azzeccata), Robotropolis non ce l’ha proprio.
Regia: se la giocano. La regia di Verhoeven è pulita, su questo non ci piove, si vede la bravura e i mezzi a disposizione. Ma ha l’aggravante della direzione artistica, che ha affossato il film. Quindi: pari.
Ritmo: Non mi sono addormentato, il che è già qualcosa. Showgirls in più ha un finale.
XXX: Beh. Vince Showgirls a man basse (e gambe alte)
Totale: Ai punti, con un bonus +0,5 per via delle tette di una maggior cura generale, Showgirls non è peggiore di Robotropolis. E un po’, devo ammetterlo, mi spiace.

Quello che Robotropolis non ha...

Conclusioni
Non riesco a trovare un singolo motivo per rispolverare questo filmaccio, a meno che non siate rimasti incastrati da una scommessa persa o da un guano di sfida ricevuto al quale non potete dire di no. Evitatelo (o guardatelo per ridere).
 
Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 2
Insensata, con personaggi completamente sbagliati come caratterizzazione. Sceneggiatura ridicola, dialoghi grotteschi e sopra le righe.
Musiche: 7
C’è una bella colonna sonora, non posso negarlo.
Regia: 4
I mezzi a disposizione ci sono, ma il regista ha totalmente sbagliato la direzione, rovinando, con i suoi scellerati consigli, l’interpretazione e la carriera della povera Berkley la quale, diciamolo, non è che brillasse di suo per intensità recitativa. Peccato, perché la fotografia è ottima, come il montaggio e la resa visiva generale.
Ritmo: 6
Se c’è una cosa che non manca è il ritmo, sia musicale, sia narrativo. Un punto in meno giusto per i troppi dialoghi idioti dove i personaggi si scambiano inutili giochi di sguardi languidi.
Violenza: 5
C'è una scena di stupro gratuita nei confronti dell'unico personaggio positivo, che vuole sottolineare come le cose nel mondo reale non vadano mai come si vorrebbe. La domanda è: In questo contesto, era proprio necessario?
Humour: 6
Intendiamoci. Il film è serissimo. Ma fa ridere, e pure male, per l'assurdità delle situazioni e dei dialoghi sopra le righe.
XXX: 8
Dai, un premio alle tette! Lasciatemi questo punteggione!
Voto Globale:
(.Y.)
Come voto dovrebbe bastare così, ma per le persone serie il voto reale è 3,5. Un film orribile paragonabile giusto ad una vetrina del quartiere a luci rosse di Amsterdam: esibizione ostentata ma senza contenuti. Intendiamoci: dal punto di vista visivo è un bel vedere, ma se ci si deve frantumare le palle per due ore giusto per guardare qualche tetta, meglio rivolgersi ad un mediometraggio Penthouse, giusto per fare un esempio vintage. Ehi! Non guardatemi male, sono stato adolescente pure io! Tornando a bomba sul film: bocciatissimo su tutta la linea, non vale la pena rispolverarlo, datemi retta. Molto meglio gli altri film americani del regista olandese: Robocop, Atto di forza e Starship Troopers (in quest’ultimo sì che funziona bene la satira antimilitarista che gli americani non hanno colto!)

sabato 6 febbraio 2021

Lavalantula (2015) | Recensione

Lavalantula
Voto Imdb: 4,5

Titolo Originale:Lavalantula
Anno:2015
Genere:Horror, Fantascienza, Commedia
Nazione:Stati Uniti
Regista:Mike Mendez
Cast:Steve Guttenberg, Nia Peeples, mezzo cast di Scuola di Polizia

L'inferno in California. Disegnato col Paint.

Lo sapevate che il vombato è l’unico animale al mondo a fare la cacca a cubetti e che codesto fatto è tuttora oggetto di studio? La cosa che dovrebbe più far riflettere in questo momento è che fior di studiosi stiano cercando di capire il mistero delle deiezioni poligonali non sferoidali di questo buffo marsupiale australiano, quando ci sarebbero minacce ben più gravi da prevenire… tipo ragni preistorici che sputano lava, tanto per fare un esempio.
Ma facciamo un passo indietro. 
Lavalantula (2015) era parcheggiato da tempo in attesa di essere visto e, proprio oggi, improvvisamente mi è venuta l’insana voglia di gustarmelo. “Leviamolo dalle ragnatele!”, mi sono detto. “Però prima mi faccio uno snack!”, ho aggiunto afferrando un barattolo di aracnidi. Dopo lo spuntino, già dai titoli di testa ho iniziato a sbadigliare e ho capito che difficilmente sarei stato in grado di cavare un ragno dal buco.
Ok, ho esaurito le freddure, ma servono giusto per farvi capire a cosa andrete incontro guardando Lavalantula. Cosa dovrebbe mai spingervi a guardare siffatto esempio di film di dubbia nonché discutibile realizzazione?
  1. Steve Guttenberg, che sono certo conoscerete tutti grazie alla serie di film Scuola di Polizia;
  2. Michael Winslow, Marion Ramsey e Leslie Easterbrook i cui nomi magari non vi dicono niente, ma che una volta visti, riconoscerete immediatamente come tre attori noti proprio per, toh, guarda la coincidenza, Scuola di Polizia.
Leslie Easterbrook

Marion Ramsey

Steve Guttenberg e Michael Winslow

Ora li ricordate?
Esattamente. C’è mezzo cast di un film icona anni Ottanta a recitare in un film spazzatura anni Duemila-e-qualcosa. Come diavolo siamo arrivati a ciò?
Dovete sapere, amici miei, che Steve Guttenberg in realtà era la prima scelta per Sharknado, ma l’attore rifiutò perché lo ritenne un film di merda. Cioè, ci prese, assolutamente. Ma non calcolò che sarebbe diventato un instant cult, come si dice oggi. I due o tre anni successivi li visse con il rimpianto della scelta sbagliata e questo dovrebbe farvi capire un paio di cose: 1) Il livello di notorietà raggiunto da Sharknado 2) Il livello infimo raggiunto dalla carriera del nostro Mahoney, perché nessun attore di serie A (e B, forse C) potrebbe mai rimpiangere di aver rifiutato la parte in una produzione Asylum.
Quando il canale SyFy - colpevole di aver trasmesso proprio Sharknado - gli propose di partecipare ad una produzione - ATTENZIONE! - ambientata nello stesso universo degli squali volanti, questa volta Steve non mandò a quel paese l’agente. Per convincerlo, i produttori gli dissero: “Per l’amor del cielo, Steve… portati chi vuoi, ma partecipa, non sprecare la seconda occasione! Pensa che il regista Mike Mendez deve sapere il fatto suo, il film precedente si chiama Big Ass Spider!, non può che partorire una roba super!”
E Steve, convinto dal pedigree di Mike e allettato dal poter ripercorrere le orme di Ian Ziering, chiamò alcuni cari amici insieme a Winslow, Ramsey e Easterbrook che accettarono. Il resto è storia…
Questa storia.

Ian Ziering (che bella maglietta!) e Steve Guttenberg

Colton West (Steve Guttenberg) oggi è un attore fallito, ma negli anni Novanta era una star di film action di serie B. Per sbarcare il lunario, ora recita in film di serie Z. L’ultimo è talmente brutto che Colton litiga con il regista (WOW! Cameo di Leigh Whannell, ideatore di Saw - L’enigmista, sceneggiatore di Insidious e regista di Upgrade e L’uomo invisibile) e viene licenziato in tronco. Incazzato come una tarantola colpita da alopecia, Colton West sale in macchina per ritornare a casa ma resta intrappolato nel traffico. Proprio davanti a lui, un vulcano su Santa Monica (lo sappiamo che la California è piena di vulcani) erutta all’improvviso e, tra lapilli ed esplosioni assortite, si crea una voragine dalla quale sbuca una stirpe di ragni mai vista prima: grossi, brutti, animati col culo, dotati di corazza vetrosa e in grado di sputare fuoco. Ben presto questi simpatici animaletti, che godono di molte simpatie trasversali, assalgono la città mettendola a ferro e fuoco, anzi lava. Anche la moglie Olivia West (Nia Peeples, star di Saranno famosi e Walker Texas Ranger) ha qualche problema di troppo con i ragni e viene assalita in casa. Il figlio adolescente, solito ragazzo problematico ma con la testa a posto (è un ossimoro voluto e normale), che in piena ribellione se ne era andato a zonzo con amici, deve fronteggiare i nuovi arrivati.
Fan service! Notare l'espressione
densa di significato.
Insomma, ci siamo capiti: la FAMIGLIA deve riunirsi ed iniziano le peripezie dei suoi membri in giro per la città californiana per eccellenza. Le tre micro trame divergono fino a metà film, permettendo a Steve di fare il cazzone, a Nia di far vedere che nonostante l’età ha ancora due bocce così e al figlio… che essere sedicenni è davvero un’età del cazzo oggigiorno.
Sì, ok, a noi della FAMIGLIA AMERICANA non ce ne frega niente. Dov’è la Scuola di Polizia? Lavalantula ci è stato spacciato come una specie di spin-off con Mahoney & Company che vivono nello stesso universo narrativo di Sharknado e affrontano la minaccia di questi ragnetti. Vuoi forse dirmi che…
Sì, cazzo, è tutta una maledetta fregatura!
Leslie Easterbrook (oggi)
O meglio, c’è il minimo sindacale per non beccarsi una class action (gli americani hanno il grille… l’avvocato facile) ma nulla di più. Intanto la poliziotta tettona biondona Debbie Callahan (Leslie Easterbrook), ormai invecchiatina, fa una fine tristissima ad inizio film. Poi Laverne Hooks (Marion Ramsey, RIP 2021, un cuoricino per lei) e Larvell Jones (Michael Winslow, quello che fa i suoni assurdi con la bocca) compaiono ad inizio film nella parte dei membri della troupe e hanno un ruolo marginale nel carnaio finale durante la resa dei conti con i ragnetti. Un po’ troppo poco rispetto a quanto promesso dai trailer. Lo dico apertamente, mi sento un po’ truffato.
Ma, almeno, quello che c’è tra una parentesi e l’altra merita la visione?
No, porca miseria. No.
Winslow & Ramsey (oggi)
Sono andato a raccogliere in giro i pareri su questo film e ho notato che, nonostante voti mediamente bassi, c’è un gruppo nutrito di estimatori che l’ha decisamente apprezzato. Dissento causa dissenteria causata dal film. Mi spiego meglio e sono, ahimè, costretto a farlo con il dovuto e forzato paragone con Sharknado. Lavalantula, pur essendo un film nella sua globalità realizzato un pelino meglio dell’ispiratore, perde fragorosamente su tutta la linea. Il motivo è semplice: laddove la povertà artistica di Sharknado era controbilanciata da una caterva di assurdità sempre più folli ed esagerate, in Lavalantula assistiamo ad un film molto più normale, brutto uguale, un po’ meno povero, con molti riferimenti e battute meta-cinematografiche, ma senza quella follia dissacrante e nonsense che ha reso il diretto concorrente una merda degna di stima e considerazione. Lavalantula è solo brutto, stanco, poco frizzante, piatto, banale, insulso.
Sì, in fondo è quello che dico di ogni film targato Asylum… ma, a parte che Lavalantula non è Asylum ma Cinetel (li ricordiamo per roba tipo Camel Spiders - ehi, allora?, Super Shark, L.A. Apocalypse, Vampirella, I Spit on your grave, etc…), il problema grosso è che il risultato finale è troppo… medio, non è né carne né pesce. Troppo poco delirante per mascherare gli enormi difetti, troppo scalcagnato per goderselo come un bel film d’azione.
Ma c’è qualcosa che si salva? 
Sì, qualche scena degna di nota me la sono segnata e va la riporto qui di seguito:
  • Colton West e amici raggiungono l’immancabile scienziato pazzo che darà loro l’idea finale per vincere. “Dovrete sconfiggere la regina dei ragni…” [pausa drammatica d’effetto] “... Mammalantula!” Io sono rimasto con la mascella spalancata per il disagio della scena.
  • Militari circondati da ragni incazzati: “Ci servono rinforzi!”, “Siamo noi i fottuti rinforzi!”, “Ah.” E muoiono.
  • Steve / Colton West ruba un bus di turisti rincoglioniti. Afferra il volante e si sente il rumore della sgommata prima ancora che il mezzo parta.
  • Nia / Olivia deve fronteggiare un ragno in casa. Vede una teca di vetro al cui interno c’è una splendida katana. Con una gomitata spacca il vetro e afferra la spada… peccato che la teca fosse palesemente aperta.
  • L’effetto del terremoto è dato dalla telecamera che si muove mentre tutta la scenografia (e gli attori) restano immobili.
  • Nia / Olivia cambia magicamente vestito nella stessa scena mentre è inseguita dai ragni.
  • Scritta che compare durante un finto telegiornale: “Declared Marshall Law” (invece di “Martial Law”)
  • Sempre durante i finti telegiornali, i passanti alle spalle sono le stesse comparse che fanno avanti e indietro facendo credere che ci sia più gente.
Bella schifezza, vero?

Sì. Schifezza, come gli effetti speciali.

Ma almeno c’è qualche citazione carina? Di solito questi film si guardano anche per questo giochino. Vediamo quali:
  • Indiana Jones, citato due volte;
  • Pulp Fiction;
  • La maledizione della prima luna;
  • Sharknado (compare Ian Ziering che incrocia Steve e gli dice: "Vorrei aiutarti ma ho un problema di squali");
  • Il Blue Oyster, locale gay più volte citato in Scuola di polizia, viene distrutto dai ragni.
Stop.
Come, stop? Tutto qui? E tutte le prelibatezze, i cameo, i tocchi di genio di Sharknado? Dove sono finiti?
Mi spiace deludervi, non ci sono. O se ci sono, non me ne sono accorto. Davvero, non c’è altro da raccontare, Lavalantula è stata una cocente (ahr ahr ahr) delusione. Una schifezza senza capo né coda, un "vorrei essere lo Sharknado dei ragni ma non posso", un fallimento unito ad un diffuso sentimento di mestizia totale. Il problema è che la gente, evidentemente, non l’ha pensata proprio come me, perché l’anno successivo è stato perfino sfornato un seguito con lo stesso cast: 2 Lava 2 Lantula! Ooooh, ma che mirabolante sfottò a Fast & Furious! Son proprio curios… no, in realtà non lo so mica se ho tanta voglia di vederlo. Detto da me, significa che è uno smacco totale. Prima di lasciarvi al commento, il famigerato paragrafo finale.

Lavalantula è migliore o peggiore di Robotropolis?
Fa ridere di più. Ha un finale. Fa leva su una tristissima operazione nostalgia ma per lo meno ha uno scopo, una missione (nonostante la fallisca). Quindi sì, è migliore di Robotropolis. Il che equivale ad un mezzo fallimento. Bocciato.

Notare l'effetto copia & incolla

Conclusioni
Ma davvero il vombato fa la cacca a cubetti? Sì, è vero. Lo studio più accreditato ipotizza che la conformazione peculiare dell’intestino sia la causa degli strani poligonotti. Ora. Sarà tutto vero, ma se io fossi un vombato sarei sempre in lacrime per il dolore. Che scherzi della natura sono mai questi?

 
Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 3
Piatta, banale, trita e ritrita, pochi elementi di spicco.
Musiche: 5
Non ci ho badato: nulla di memorabile. Ammesso che ci fosse.
Regia: 4
Pochi guizzi per quanto sia un film solido, ma ci sono diversi errori e scene fatte male. Non memorabile.
Ritmo: 6,5
L'unica cosa che si salva del film. Alcune scene potevano anche essere tagliate, ma non possiamo pretendere chissà cosa.
Violenza: 5
Una scena un po' più forte delle altre, ma è lo stesso tipo di violenza di Sharknado: tanto folle da risultare comica.
Humour: 5,5
Qualche risatina la strappa. Meglio farsi aiutare da massicce dosi alcooliche.
XXX: 1
Solo blando fan service di Nia Peebles ma nulla di memorabile.
Voto Globale: 4
Su questo blog, un film per essere memorabile deve sperare di prendere un voto superiore ad 8 e, soprattutto, inferiore a 3,5. Tutto ciò che è nel mezzo è solo dimenticabile, triste, non degno della vostra attenzione. Lavalantula naviga in un enorme mare di mediocrità, evitatelo pure senza soffrire troppo. Aggravante per chi lo guarderà in italiano: doppiaggio davvero fastidioso.

giovedì 28 gennaio 2021

The VelociPastor (2018) | Recensione

The VelociPastor
Voto Imdb: 5,1

Titolo Originale:The VelociPastor
Anno:2018
Genere:Commedia, Horror, Azione
Nazione:Stati Uniti
Regista:Brendan Steere
Cast:Gregory James Cohan, Alyssa Kempinski, Daniel Steere
Doug, il prete-dinosauro

"Jesse, ascolta qui, ho un'idea geniale, porco mondo!"
"Sentiamo. Non mi fido delle tue idiozie." Jesse sospira vistosamente.
"No, no, stavolta ci siamo! Ero in bagno, mi sono chinato e con la testa ho colpito lo spigolo del lavandino..."
"Hai visto lo schema del Flusso Canalizzatore?"
"No, imbecille, ho solo tirato giù tante madonne... ma ho visto l'illuminazione!"
"Ovverossia?"
"VelociPastor!"
"..."
"..."
"Scusa?"
"Veloci-Paaaastor.", Brendan scandisce bene le lettere. "Fusione tra Velociraptor e Pastore."
"Chissà perché ho il sospetto che sia una stronzata epocale?"
"Senti qui", Brendan non lo ascolta nemmeno, ha gli occhi illuminati e la fantasia che galoppa. "Un pastore, inteso come prete - non un cane! - acquisisce il superpotere di trasformarsi in un dinosauro cattivissimo, salverà la vita di una prostituta la quale si innamorerà di lui e gli indicherà la via. -Tu userai il potere per uccidere le persone cattive! - gli dice la ragazza. -Ma sono un prete!-, risponde lui. -No, no!-, replica lei. -Non un prete. Un VelociPastor!-"
Brendan Steere finisce di parlare e osserva l'amico Jesse Gouldsbury.
"Il nome sembra fico." l'amico inizia ad annuire pensieroso. "Suona bene."
"Immagina la locandina, so che ci riesci. Disegno di un dinosauro cattivissimo, feroce, con i denti insanguinati. Primo piano del prete con gli occhi spalancati da rettile, le mani artigliate come un T-Rex e un gioco di ombre che ci fanno vedere sul suo volto un dualismo bene-male... e la scritta VELOCIPASTOR in primo piano, con la "T" che diventa una croce. Immagina questa parola sulla bocca di tutti. Farà un effetto passaparola dirompente! Il finto trailer omonimo che ho diretto nel 2011 era diventato virale, è l'occasione giusta per trasformarlo in un lungometraggio."
"VelociPastor..." Jesse lo ripete più volte, si vede che inizia a prenderci gusto. "Sai che tutto sommato?"
"Dai, produciamolo!" Brendan saltella come i bambini piccoli quando sono emozionati e sanno che stanno per ottenere un regalo extra-budget dai genitori.
"Non abbiamo molti soldi..." bofonchia Jesse pensieroso.
"Basteranno."
"Posso tirare su 35.000$ malcontati... volevo comprarmi un Dodge Charger..."
"Comprati un Dodge Caravan del '93 e con quello che rimane produciamo il film. Non te ne pentirai."
"Non correre. Mi stanno venendo in mente diverse condizioni..."
"Accetto!"
"Ma devo ancora elencarle! Non è detto che ti piaceranno!"
"Dai, dai, spara!"
"Voglio un sacco di ninja."
"Ok."
"Ma cinesi."
"Jesse, i ninja sono giapponesi..."
"Pensa in grande! Il nuovo mercato è la Cina! Quindi voglio dei cazzo di Ninja cinesi!"
"O... ok..."
"Li voglio anche sulla locandina, attireranno la gente! E saranno i cattivi, i ninja spacciatori di droga."
"È una condizione impegnativa, ma te la inserisco agevolmente in sceneggiatura... senti qui altri punti di interesse."
"Vai, vai, spara." Jesse ormai è rapito, lo ascolta attentamente.
"Ci sarà un esorcista."
"D'altronde è un film con preti e dinosauri-demoni..." l'amico annuisce vigorosamente.
"E voglio un prete anziano che faccia da guida."
"Stanno diventando un po' tanti personaggi, però..."
"Dai, lo interpreterà mio padre, non dirà mai di no."
"Ok. Altro?"
"Musica rock anni Ottanta! A MANETTA!"
"I diritti costano tanto, Brendan."
"Una manciata di band indie che facciano grunge punk-pop va benissimo. E... attenzione! Ci sarà una scena potentissima con protagonista il vecchio prete! Ambientata nel Vietnam!"
"Non è che stiamo un po' esagerando, Brendan?"
"Jesse, niente di tutto questo ha senso. Ma, credimi, è quello che vorrà la gente."

I due protagonisti, Carol e Doug.

I due amici confabulano ancora un po', dopo di che si stringono la mano: accordo raggiunto, si parte con il film. Brendan ha già pronta la sceneggiatura che sarà piena di dialoghi d'effetto; non contento, oltre che co-produttore sarà regista e curerà il montaggio. Jesse invece supervisionerà la realizzazione lasciando di fatto carta bianca all'amico. Ha visto il suo lungometraggio d'esordio horror Animosity (2013) e gli è piaciuto molto. Entrambi sanno che non sarà facile, le location sono quelle che sono e renderle credibili (soprattutto la parte in Vietnam) non sarà una passeggiata.
"Sai che ti dico, Jesse? Facciamo che ce ne sbattiamo la ciolla e usiamo lo stesso bosco fuori Manhattan, cambiando angolo di ripresa, per spacciarlo come location per Cina, Stati Uniti e Vietnam?"
"Cosa vuoi che ti dica? Sei tu il regista."

Il dinamico duo inizia a pensare al casting. Come attore principale hanno l'ok entusiasta di Gregory Cohan.
"Ascolta." gli dice Brendan appoggiandogli le mani sulle spalle. "Il nostro film non è demenziale ma deve far ridere. Da te voglio un'interpretazione intensa, non comica ma che faccia ridere con la serietà delle tue espressioni. Devi essere comico facendo il serio sapendo di essere comico ma senza dirlo apertamente allo spettatore. Ci riuscirai?"
"Brendy, non ho capito un cazzo di quello che hai detto"
"Fai Leslie Nielsen."
"Ok, chiaro! Ci sto. Però voglio una scena di sesso, altrimenti niente da fare."
"Ma sei un prete!"
"NO! Non un prete. Un VELOCIPASTOR!" Gregory sgrana gli occhi, mostra i denti ed inizia a ringhiare.
Brendan ride e dà una pacca all'amico. "Sei già entrato nella parte, bravissimo. Sapevo di poter contare su di te."
Poi contattano Alyssa Kempinski, che aveva già partecipato al film precedente di Brendan. "Senti Aly, abbia..."
"Sono dei vostri, Brendan tu sei un genio e non vedevo l'ora di fare un altro film con te. Ma stavolta ho anch'io delle condizioni per partecipare."
Brendan alza gli occhi al cielo. Cosa sono tutti questi ricattini? Mica stiamo puntando all'Oscar!
"Devo fare la parte di una prostituta. E ok, in fondo l'ha fatto anche Jamie Lee Curtis in Una poltrona per due. Però la mia Carol deve essere una praticante avvocatessa-dottoressa. Ah, e niente nudo."
"Beh, niente di così impegnativo..."
"E deve saper menare i ninja."
"Uhm..."
"Facciamo che dopo la trombata col VelociPastor diventa anche lei una VelociPastorella?"
"Così suona un po' porno..." s'intromette George, già bello ingrifato.
"Aly, facciamo una via di mezzo, tu improvviserai, farai credere che potresti diventare una dinosaura pure tu e che acquisirai certi poteri... però non ti trasformerai mai."
"Anche perché..." Jesse, il neo-produttore, tossisce leggermente. "... col budget a disposizione, non abbiamo molta scelta per il dinosauro, ne potremo avere solo uno, non di più. Sommessamente vorrei suggerirti un approccio alla Spielberg ne Lo Squalo: il pericolo non si vede mai ma lo si percepisce, perché è così che si incute paura nello spettatore, facendo leva sulla paura dell'ignoto e dell'invisibile."
"Sì, sì, tutto fico e da manuale del perfetto regista." Brendan scatta in piedi battendosi il petto con urla belluine. "STRONZATE! Noi non dobbiamo far paura." replica sprezzante. "Perciò voglio che il dinosauro SI VEDA."
"Sapevo che avresti detto così." Jesse sospira nervosamente. "Ho già fatto l'ordine online."
"Ordine?"
"Sì, del costume. Mica vorrai farlo in CGI? Non abbiamo il budget. Ho acquistato un costume."
George, l'attore, inizia a rabbrividire. E non per il freddo.
"Co... costume?"
"Hai presente i sentai, i telefilm giapponesi tipo Megaloman, Koseidon e Ultraman dove ci sono pupazzoni di dinosauri con dentro l'omino che li muove? Ecco."
"Beh, quelli erano bei costumi..."
Jesse distoglie lo sguardo. "Sì, artigianali, ben fatti, molto giapponesi... io ne ho trovato uno, era un'offerta irrinunciabile... su... su..." la voce si affievolisce fino a spegnersi.
"Su...?" lo incalza Brendan.
"Su Wish."
"Oggesuggiuseppemmaria." Brendan, George e Alyssa si mettono la mano sulla faccia, sconsolati.
"Questa è la produzione, ragazzi, si prende quel che passa il convento..."
"Ti stai divertendo con questi giochi di parole, vero?"
"Ovvio. Ho già pronta la frase di lancio, ascolta qua: Welcome to Christ-aceous Period!"
"GENIO! F4!"
I quattro ridono nervosamente ed iniziano la produzione.

Il resto è storia.
Ora. Non so se le cose siano andate esattamente così, ma non credo di essere andato tanto lontano dalla realtà.
La produzione deve comunque aver funzionato, perché in qualche modo il film ha fatto il giro del mondo ed è arrivato dritto sparato fino a casa mia. Potevo forse sottrarmi?
Ammetto di aver iniziato la visione con queste due convinzioni, il trovarmi di fronte a:
  • un filmdemmerda
  • un film serio e serioso
Potevamo stupirvi con mirabolanti
effetti speciali, e invece...
Sul primo punto un po' ci ho preso, sul secondo... per nulla. L'ho capito fin dalla prima scena: Doug (il prete interpretato da George) termina un sermone, esce dalla chiesa e saluta i genitori che gli sorridono dall'altro lato della strada. Ma una terribile esplosione (che non ha il minimo senso in quel momento e in quel contesto) li uccide. Vi domanderete: "Wow, inizio col botto, in tutti i sensi!" Ma potete immaginare il mio sbigottimento di fronte alla sequenza in cui, al posto delle fiamme e dell'esplosione, compare una scritta "VFX: CAR ON FIRE" (effetti speciali di macchina in fiamme). Lo sguardo disperato di Doug, che ricorda un po' quello di Schwarzenegger in Atto di Forza, è abbastanza eloquente e grottesco. Sconvolto, il nostro va in cerca di conforto dal prete senior (il presunto babbo del regista, lo ricordiamo), che gli dice: "Per trovare te stesso devi fare un lungo viaggio, devi raggiungere un posto dove non troverai Dio."
Cambio di scena, inquadratura di un bosco che ha tutto l'aspetto di quello dietro casa, e la didascalia "CINA".

Ammetto di aver riso, ed ecco che in quel momento ho capito che avrei assistito ad una roba sì atroce, ma fuori di testa. E sarà così fino alla fine, è inutile che mi dilunghi a raccontare la trama, in fondo è stata raccontata tutta nel dialogo tra regista e produttore: in Cina Doug accoglie in sé il superpotere di diventare un dinosauro, torna negli USA e una sera salva davvero la prostituta da fine certa. Il mattino dopo entrambi si risvegliano svestiti nel letto, e il dialogo tra i due è una roba davvero surreale:

Carol: [voce roca] "Questa notte è stata... stupefacente."
Doug: "Oh. [faccina compiaciuta] Bene. In tutta onestà, lasciami dire che non succederà più."
Carol: "Puoi starne certo."
Doug: "Oh. È andata così male?" [faccina delusa guardandosi il pacco]
Carol: "È stato... strano."
Doug: "Oh."
Carol: "Dai, è successo tutto così velocemente. Mi sono spaventata, penso di essermela fatta pure addosso!"
Doug: "Ah, quindi anche per te è stata la prima volta?"
Carol: "Sì."
Doug: [espressione imbarazzata] "Come ti ho già detto, io sono un prete, non dobbiamo raccontarlo in ..."
Carol: "Momento, momento! Di cosa stai parlando?"
Doug: "Di cosa stai parlando TU?"
Carol: "Del fatto che sei diventato un dinosauro e ti sei mangiato un tizio."
Doug: "Oh. Eh? COSA?"
Carol: "COSA?"

Insomma, grazie a Carol, Doug accetta la propria condizione e il ruolo nuovo: salvare le anime e placare la propria fame animalesca uccidendo i tizi cattivi, partendo proprio dal responsabile che aveva ucciso i suoi genitori il quale, casualmente, andrà nella sua chiesa a confessare i propri peccati. La scena in effetti è abbastanza ridicola: 
Doug: "Quali peccati vuoi confessare, figliuolo?"
Frankie: "Ah, accidenti, da dove partire? Immagino che potremmo coprire gli ultimi... quattro giorni? Ho rubato caramelle a un bambino, poi l'ho gettato nel fiume - così non poteva fare la spia, ovviamente - poi, ah, beh, faccio il pappone, produco droga e la spaccio, ho assassinato un paio di vecchi davanti ad una chiesa... ecco cos'ho fatto, padre."
Doug, giustamente, s'incazza, il suo braccio diventa quello di un Velociraptor e uccide in modo cruento Frankie (ma noi non vedremo quasi nulla, a parte la protesi di gomma a forma di artiglio letale che sbuca dal confessionale in compensato che il legno dell'IKEA al confronto è mogano massiccio).

No, volete che mi dilunghi? Ho già scritto fin troppo.

Posa plastica e stilosa e, alle spalle, ninja cinesi
VelociPastor (mi raccomando la "P" maiuscola) è tutto qui, ha il grandissimo pregio di durare settanta minuti in croce (ahr ahr ahr), è un film raffazzonatissimo ma fatto con un certo stile. Per dirne una, il regista, a riprese terminate e prima di svilupparla, ha preso la pellicola e l'ha messa in un forno a 90° per una decina di minuti per darle una colorazione leggermente vintage. Le scritte e le didascalie, fatte in giallo bello carico, richiamano i filmacci anni Settanta e Ottanta. Alcune scene hanno un montaggio alla Crank!, con lo schermo diviso in tanti riquadri, ciascuno dei quali si sofferma su un dettaglio della stessa scena. Le tecniche di ripresa ricordano molto i grandi classici italiani horror, parliamo di Lucio Fulci e Lamberto Bava, di cui Brendan è fan dichiarato. Altre fonti di ispirazioni per le tecniche di ripresa e per l'uso della musica sono stati due anime, Neon Genesis Evangelion e FLCL (Furi Kuri). Insomma, c'è una discreta cura nonostante l'atmosfera generale sia quella da film amatoriale girato nello scantinato. L'ironia diventa un mezzo per ovviare alle carenze tecniche e di bugdet. Non hai i costumi da veterani del Vietnam? Non importa, bastano pantaloni verdi e camicia mimetica, se poi indossi scarpe da ginnastica moderne chi vuoi che se ne accorga? Stai impersonando un chirurgo di fama mondiale? Basta che indossi un camice dismesso, uno stetoscopio e il faretto sulla fronte e il gioco è fatto. VelociPastor è pieno di questi accorgimenti troppo idioti e troppo brutti per sembrare veri, e non viene fatto nulla per mascherarli da ciò che sono in realtà.

Il film funziona, ma solo fino a un certo punto. La trama non è interessante, anche se certe battute (soprattutto quelle irriverenti) fanno pensare ad una scrittura più fine di quel che sembri; ma è pressoché impossibile provare empatia per i personaggi o seguire col cuore in gola le loro vicende. Guardi il film, ogni tanto affiora una risata a denti stretti e hai la certezza che dopo i titoli di coda presto ti dimenticherai di quello che hai appena visto. Un aspetto veramente positivo, però, c'è: la colonna sonora SPACCA DAVVERO, scritto tutto in maiuscolo! Non conoscevo mezza band, ma mi sono ripromesso di recuperare qualcosa della loro produzione, soprattutto dei Math The Band, dei quali nel film c'è la canzone Didn't have the time to think. Da ascoltare, decisamente carina.

Dato che avrete già sbirciato il voto finale e avrete aggrottato le sopracciglia, rispondo immediatamente alla Domanda delle Domande: VelociPastor è migliore o peggiore di Robotropolis? Dai, leggendo la recensione è chiarissimo: è brutto, davvero brutto, fa sghignazzare, ma fa un giro su se stesso per entrare nell'Olimpo delle Cacatone Dichiarate, il girone dedicato ai film nati consapevolmente per far schifo e crogiolarsi in questa consapevolezza. Quindi, sì, VelociPastor è migliore di Robotropolis, ed è costato probabilmente un decimo il che, se vogliamo, lo pone non uno ma due piani più in alto.

Ecco in tutto il suo splendore il costume recuperato su Wish.

Nota che renderà qualcuno felice, tutti gli altri indifferenti: è stato annunciato un seguito (anzi, due) con lo stesso cast e un budget di uno, massimo due milioni di dollari (ci aggiriamo al livello Asylum, giusto per fare un paragone). Il seguito sarà soltanto ideale, perché sarà ambientato nel 1800 in Australia con, udite, vampiri e vampiresse lesbiche. E il rimando all'inglese Lesbian Vampire Killers è pressoché immediato! Attendiamo fiduciosi (ma non trepidanti)... 


Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 5
Ma cosa puoi dire di fronte ad una tale accozzaglia di idiozie e scene scalcagnate? Niente, assolutamente niente. Giusto ad un pazzo poteva venire in mente l'idea di trasformare un prete in un dinosauro. E ad un altro pazzo quella di produrre siffatta idea, aggiungiamo...
Musiche: 8
La colonna sonora mi è piaciuta parecchio, scelta di brani azzeccatissima con musiche ben fatte ed orecchiabili. Quasi quasi ora me le vado anche a recuperare per ascoltarmele in macchina...
Regia: 6
Sono buono, premio alcune scelte non banali (anche se scopiazzate), più che altro perché realizzate con una povertà di mezzi agghiacciante. È in situazioni come queste che puoi vedere del potenziale, magari per Brendan è ancora presto ma... mai dire mai.
Ritmo: 6
Ha dei momenti di stanca (la scena dell'esorcista mi ha un po' annoiato), ma ha il grandissimo pregio di durare solo settanta minuti. Scorre via che è un piacere.
Violenza: 4
Media tra quello che avresti voluto vedere (6) e quello che vedi davvero (2). Potenzialmente splatter, il film alla fine si riduce in qualche bicchiere di vernice rossa (neanche secchio) e protesi gommose che fanno solo ridere i polli. Volutamente, certo, ma l'effetto è lo stesso.
Humour: 6
Non strappa risate roboanti, ma giusto qualche ghignata a denti stretti. Non si poteva, onestamente, chiedere di più.
XXX: 1
Film molto casto, non metto zero solo perché in un punto c'è un Doug visibilmente barzotto.
Voto Globale: 3/7
Dal tre al sette. Che cazzo di voto è mai questo, direte? Mi sembra il voto più corretto da dare, un punteggio senza senso per un film senza senso. The VelociRaptor va visto (oddio, "va visto" non è il termine migliore) con lo spirito giusto, quello goliardico in compagnia di amici per farsi mezza risata. Non resterà niente dopo la visione, solo il senso vacuo del "Ho davvero buttato nel cesso settanta minuti della mia vita per guardare questa roba?". Io vi dico solo che alla fine della visione mi sono sentito un uomo diverso, migliore. Quindi, sì, ne è valsa la pena.
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