domenica 21 febbraio 2021

Showgirls (1995) | Recensione

Showgirls
Voto Imdb: 4,9
Titolo Originale:Showgirls
Anno:1995
Genere:Drammatico, Erotico
Nazione:Francia, Stati Uniti
Regista:Paul Verhoeven
Cast:Elizabeth Berkley, Gina Gershon, Kyle MacLachlan

Nessuno ce la fa contro Nomi Malone! (Elizabeth Berkley)

Prologo

Scena 1
Studio oculistico.
“Prego, signor Verhoeven, si accomodi.” dice il dottore. “Perché è qui?”
Il regista porta con sé una scatola che sta reggendo a fatica da quanto è pesante e sul coperchio c’è un’etichetta con la scritta “Showgirls”.
“Oh.” il dottore ammicca. “Calo della vista dopo quattro mesi di riprese?”
“No.” Paul Verhoeven si accomoda nervosamente e appoggia la scatola sul tavolo, poi scosta leggermente l’apertura per permettere al dottore di sbirciare dentro.
“Oh, mio Dio.” l’uomo in camice si ritrae sconvolto portandosi una mano sulla bocca. “È ENORME. Mai visto niente di simile!”
“Mi deve spiegare.” inizia Paul Verhoeven affranto. “Perché quando faccio una stronzata così, lacrimo sempre?”
“Lei non ha bisogno di un oculista, signor Verhoeven. È sufficiente fare film decenti, vedrà che non sentirà più dolore e le lacrime spariranno.”

Scena 2
Registrazione del David Letterman Show. In studio: Kyle MacLachlan, Letterman e il Giampy.
“Raccontaci, Kyle.” dice Dave. “È vero che non eri presente alla prima di Showgirls?”
L’attore si stropiccia le mani a disagio. “No, c’ero. Mi sono seduto e ho sofferto per tutte le due ore.”
Letterman sorride. “Anche noi. Anche noi, Kyle.”
Risate del pubblico. Solo una persona non ride, è il Giampy, che osserva Kyle con sguardo acuto e penetrante. “Kyle, amico mio. Mentre giravi il film, non ti è balenato il velato sospetto che stesse venendo fuori una verammerda?”
Boato del pubblico, standing ovation, Letterman addirittura sale in piedi sulla scrivania e strappa i fogli del copione. Kyle abbozza, sorride a denti stretti e annuisce. “L’ho capito dalla prima scena. È tutto sbagliato, il film, il regista, il cast. Tutto.”

Ed ecco la recensione di questo film immondo!

Oggi parliamo del concetto di FALLIMENTO.
Con Showgirls assistiamo al fallimento:
  • del film, floppone al botteghino;
  • di Elizabeth Berkley, l’attrice principale;
  • della Carolco Pictures, casa di produzione del film;
  • il mio fallimento.
Partiamo dall’ultimo punto, il meno interessante, che spiega perché diavolo sto parlando di questo filmaccio. Ebbene, il merito (o la colpa) è di Paola, admin del gruppo Il Marsigliano Reggiano la quale, dopo aver letto qualche mia recensione, mi apostrofa con: “Davvero non hai mai visto Showgirls? Guardalo. È brutto. VERAMENTE BRUTTO. Guardalo, recensiscilo e non te ne pentirai.”
Ora: sul pentimento ho qualche dubbio, ma se qualcuno mi lancia il guano di sfida [sic] io non mi sottraggo. MAI. Ho guardato Showgirls e fin da subito sono stato avvolto da una spessa e imperforabile cappa di mestizia. Showgirls non è un film brutto, è… è… oltre. È un’operazione che non ha il minimo senso, che porta sulla scena diversi personaggi odiosissimi che fanno cose senza senso, in una successione temporale causa-effetto senza senso, inutilmente allungato (DUE ORE E DIECI) da fan service senza senso. In poche parole: una verammerda.
Perché parlo di mio fallimento? La mestizia è talmente tanta che mi risulta perfino difficile riuscire a tirare fuori una recensione decente di questo obbrobrio. Ma, ripeto, il guano di sfida è stato lanciato e io l’ho raccolto.

Notare come impugna il coltellino...
Per meglio inquadrare il discorso, vorrei porre l’attenzione sulla trama perché di tutte le cose senza senso nel film, quest’ultima occupa il primo posto di prepotenza. È ovvio che l’allupato guarderà Showgirls per altri motivi, ma proviamo un attimo ad astrarci e a guardarlo con occhio distaccato, ci renderemo conto di quante perle nascoste ci siano nella risibile sceneggiatura.
Nomi Malone (Elizabeth Berkley) ha, come tutti, qualcosa da nascondere. Sta facendo autostop in direzione Las Vegas e viene raccattata dal classico bulletto sudista sul classico pickup americano. “Come ti chiami?” le chiede lui. In tutta risposta, la tipa estrae un coltellino a serramanico e fa sbandare l’auto, rischiando una collisione che avrebbe posto fine al film prima ancora degli inesistenti titoli di testa: credetemi, forse sarebbe stato meglio così. Riportata la calma nell’auto, il tizio - invece di buttare la psicopatica giù da una scarpata - le rifà la stessa domanda: “Come ti chiami?”
“Nomi”, risponde lei.
“Che nome del...”
“Mia mamma è italiana, ecco perché mi chiamo così.”
Ho messo in pausa e ho iniziato a ridere male. Nomi. Avesse detto Mona, avrei riso lo stesso anche se per altri motivi. Ma trovatemi una cazzo di Nomi qui in Italia e vi pago una cena. Al Burger King, ché non si sa mai, io sono nato per essere smentito.
Quasi bacio (senza senso)
Comunque il simpatico duo arriva a Las Vegas e l’astuta come una faina Nomi si accorge che il bulletto è un ladruncolo da strapazzo che se l’è svignata portandosi via la sua valigia. Disperata ed incazzata come un automobilista bloccato da un gruppone di ciclisti della domenica che non riescono a pedalare in fila indiana, Nomi inizia a prendere a pugni un’auto parcheggiata di fianco. Proprio davanti alla proprietaria. Costei si chiama Molly (Gina Ravera) e deve essere davvero poco furba giacché, invece di chiamare la polizia e fare arrestare Nomi per vandalismo, la abbraccia e fa scattare di botto un’intensa inquadratura che trasuda tensione sessuale senza senso da ogni fotogramma. Le due si guardano e… Nomi diventa amica per la pelle di Molly, che la ospita a casa sua. Dai, sì, diventiamo amiche di quella che sta per sfasciarmi la macchina come se si trovasse nel bonus stage di Street Fighter II; mai vista prima, senza soldi e senza valigie, dai, raccattiamola e portiamola a casa mia, cosa ci sarà mai da temere nel Nevada?
Cristal (Gina Gershon)
Poi c’è un salto di 4 mesi, scopriamo che Molly fa la (s)costumista in un locale dalla dubbia moralità mentre Nomi viene presa come lap dancer e spogliarellista in un altro locale nonché tempio di perdizione per maschi arrapati e danarosi. D’altronde siamo a Las Vegas, giusto? Ed ecco che inizia la discesa nell’inferno di Nomi, la quale dimostra uno spiccato talento nel mostrare zizze e patonza a destra e sinistra, entrerà nelle grazie di Cristal (Gina Gershon), la DEA del locale Stardust, si innamora (forse) del manager interpretato da Kyle MacLachlan e, insomma, patapim e patapum assistiamo inermi ad un'impressionante carrellata di spogliarelli, tette, culi, patonze, ancora tette, gelosie, tradimenti, trombate improbabili in piscina, spettacoli pirotecnici assortiti di ogni tipo fino a planare leggiadri sulla scena rivelatrice dell’oscuro segreto di Nomi in cui ad essere stupiti non siamo noi spettatori, ma Nomi stessa che manco si ricorda più chi sia realmente.
Due ore e dieci di NULLA (se escludiamo le tette voluttuosamente esibite da ogni attrice di sesso femminile inquadrato nel film, ivi inclusa la matrona quasi sessantenne che fa da spalla comica), dove gli elementi di spicco sono i seguenti:

Quando dico incazzata...

  • espressione perennemente incazzata di Nomi. E quando non è incazzata, ha sempre la bocca aperta (no doppi sensi, please). E quando non fa nessuna delle due cose, esce di scena sbattendo la porta alle spalle. Sempre.
  • Due sottotrame assolutamente inutili e senza senso, quella del poeta rasta di stocazzo che ha scritto un musical ispirandosi a Nomi, lei quasi gliela dà per poi scoprire che suddetto cantautore l’ha fatto con altre tre ragazze; e quella delle unghie fighissime, cioè, qui solo se hai unghie fighissime puoi essere considerata degna di diventare la DEA dello Stardust. Sottotrama ad un certo punto sparita, annegata nell’acqua ragia.
  • tette e culi, ma non sono sicuro di averlo rimarcato a dovere.
  • Dialoghi scritti con la stessa parte anatomica di cui vediamo esempi in abbondanza, ovvero il culo.
Cristal e Nomi (credo. Non sono fisionomista)

"Uhm, per me sei un po' zoccola."
Così parlò Gina.
I problemi di questo film, è evidente da quanto ho or ora enunciato, sono diversi.
Gran parte delle colpe vanno alla sceneggiatura, che è una delle più imbarazzanti mai approvate da una major di primo livello. Non è solo un problema di trama, che non risulta credibile nemmeno dopo una sniffata di bicarbonato ricavato dalla citrosodina sminuzzata; è un problema proprio di scrittura e di dialoghi, completamente sopra le righe e inutilmente enfatici. Quelle che volevano essere battute sagaci e ad effetto, si risolvono in patetiche righe di vuoto pneumatico, dove spesso i personaggi fanno una cosa mentre la stanno negando a parole. Mi spiego meglio. Nomi e Cristal hanno un dialogo che dovrebbe essere carico di tensione ma che nella realtà è solo uno scambio di sciabolate morbide di sguardi languidi. Nel botta e risposta che nelle intenzioni avrebbe dovuto alzare la temperatura, infine Cristal dice a Nomi con voce arrochita: “Uhmmmm, per me sei un po’ zoccola.” La protagonista, incurante delle bocce mezze fuori, fa la boccuccia a culo di gallina e dice: “Chi? Io? Maddai!”
Cioè, le schermaglie fra le attrici si riducono a dialoghi di questo tipo, intervallati da coreografie che uno stambecco zoppo avrebbe eseguito meglio, e da baci simil-saffici che di erotico hanno solo l’herpes che le due si sono senz’altro trasmesse visto l’ambiente che frequentano.
Ci sono altre scene così brutte, così cringe, che meritano una citazione, vuoi per la scrittura, vuoi per la situazione assurda o imbarazzante a cui assistiamo con la mascella spalancata:
  • Nomi e Cristal, sempre loro, dialogano in un ristorante italiano apparentemente di lusso. Tra sguardi inutilmente lussuriosi, ammiccamenti e battute grevi sulle rispettive tette (!), le due iniziano a parlare di… cibo per cani che sarebbe più buono di non so cosa. Il tutto mentre Nomi violenta un barattolo di ketchup, facendogli fare una fine indegna. Ma… ma… il senso di tutto questo?
  • Prove di coreografia per il musical allo Stardust. Nomi fa quello che sa fare meglio: dimenarsi in modo disarticolato ma a quanto pare a tutti va bene così. Il top è quando prova un piegamento con mani e gambe appoggiate a terra, in posa stile tarantola, e il coreografo le urla in faccia “SPINGI SPINGI SPINGI SPINGI!”. Solo a me è venuto in mente l’imbarazzante paragone con una sala da parto? 
  • Nomi a più riprese si vanta del suo nuovo vestito VERACE (battuta resa meglio in originale, in cui storpia clamorosamente il nome in Ver-sa-syiiiie) e se ne sbatte quando la correggono. Ma quanto sei cretina? Ma li ascolti gli altri quando ti rivolgono la parola?
  • Nomi e Cristal (si è capito che il tasso di idiozia s’innalza pericolosamente quando le due donne sono in scena insieme?) provano una coreografia insieme. Nuova. MAI VISTA PRIMA NEMMENO IN PROVA. Ma è solo una bieca scusa per farcele vedere nuovamente avvinghiate, peccato non sappiano fare un passo decente. È più sensuale Renato Pozzetto con una rosa in bocca.
Le mirabolanti unghie



Spingi! Spingi! SPINGI! ("Thrust it!")

Coreografie? Sì, parliamone! Ridatemi Enzo Paolo Turchi!
Elizabeth Berkley non sa ballare.
Nemmeno Gina Gershon.
E forse neanche le vere ballerine scritturate per il film. Sembra di assistere ad un branco di facoceri che ruotano in mezzo al palco trasformato in una savana dove le primedonne si prendono a gomitate per diventare la DEA del locale. Dopo che una stessa coreografia è stata pure riciclata due volte, sono infine giunto a rivalutare Staying Alive, il che la dice lunga.

Showgirls vs Staying Alive
E qui scatta il primo confronto d’obbligo. I due film hanno in comune due cose: una storia di merda con personaggi da prendere a mazzate da quanto sono poco credibili e, appunto, i balletti. Showgirls ha una cosa che Staying Alive non ha: le tette (non so se si è capito, io nel dubbio persevero a ricordarlo). Per il resto, la regia di Verhoeven, per quanto ottima tecnicamente, non aggiunge nulla (il che mi lascia basito, vista la bravura del regista) mentre quella di Sylvester Stallone, nella sua semplicità e rozzezza, è onesta e vibrante soprattutto quando John Travolta, circondato da nuvole glitterate anch’esse senza senso, spande mascolinità a tutto spiano. Per non parlare, poi, della colonna sonora (OVVIAMENTE), con una memorabile Far from Over di Frank Stallone che ancora oggi mi gasa a mille. Insomma, Showgirls esce con le ossa rotte anche dal confronto con un film entrato nell’immaginario collettivo non certo per la sua bellezza, ma per essere un musical shakerato con bischerate assortite, nominato quale “peggior sequel della storia”.
Nonostante le astute intenzioni di regista, produttori e attrice, al cinema Showgirls fu un flop colossale, anche se recuperò tantissimo nel mercato dell’home video, mentre Staying Alive, in barba alla stroncatura della critica, fu un grande successo commerciale entrando nella top ten dei film più visti nel 1983.

Il cast
E qui casca l’asino.
Kyle MacLachlan.
Ma quanto è ridicolo il taglio?
Se pensavate che il problema fosse solo la sceneggiatura, magari salvata da interpretazioni convincenti delle attrici (e attori), beh, vi sbagliate di grosso. Il cast in realtà affonda nella mediocrità più totale. Non se ne salva uno, davvero. Kyle MacLachlan, probabilmente il nome più noto allora (inutile ricordarvi pietre miliari quali Twin Peaks, Dune, L’Alieno e The Doors, giusto?), qui pare capitato per caso, completamente incosciente del carrozzone in cui è finito dentro. Ha sempre un’espressione a metà tra l’ebete e il ghigno da “adesso te lo tronco io”. Poi di lui si vedono perfino delle chiappe marmoree quasi botticelliane e mi fa strano l’ingenuità dello stesso attore che dichiarò di essere convinto di fare un film artistico. Gina Gershon, che fino ad allora era nota per Danko, Cocktail e Melrose Place, esibisce una costante smorfia da schiaffi e una scarsa convinzione quando deve esibirsi nei balletti. Ce la vedo, con l’entusiasmo iniziale, che scema di ripresa in ripresa quando inizia a realizzare dove è finita.
Bayside School (*sospiro*)
E, infine, Elizabeth Berkley. No, vi risparmio tutta la tiritera su Bayside School, la sitcom adolescenziale simbolo del periodo fine anni ‘80 e primi ‘90 (di cui non mi perdevo un episodio: a me piacevano di più le altre due attrici, Tiffani Amber-Thiessen e Lark Voorhies), concentriamoci su Showgirls. Berkley ha scommesso tutto su questo film. Vorrei davvero prendere la macchina del tempo, tornare indietro nel 1995, sedermi di fianco a lei e dirle: “Cara Betta. Cosa diavolo ti fa pensare che dimenarti nuda per tre quarti di film possa essere una rampa di lancio per il successo? Il problema non è solo la percentuale di centimetri quadrati di pelle esibita, figuriamoci. Ma davvero recitando come se ti avessero messo il peperoncino di cayenna sulle chiappe ti fa pensare di puntare dritta al Golden Globe? Con quelle battute ridicole? Con quelle scene assolutamente prive di logica? Vorrei farti vedere l’elenco dei Razzie Awards vinti come peggior attrice dell’anno, la nomination di quella del decennio, il flop al botteghino, il fatto che il tuo agente ti avesse abbandonato dopo la prima proiezione, il fatto, infine, di aver terminato la tua carriera con questo film perché dopo ti sono state offerte solo delle misere particine. Ne è davvero valsa la pena, Bettina mia? Pensaci bene.”
No, lei è andata avanti a testa bassa e il culmine, il top, il momento catartico di tutto il film arriva inaspettato come la TARI a primavera: la trombata con Kyle MacLachlan in piscina. Quello che doveva essere il momento più hot del decennio, si trasforma in una scena che se fosse stata diretta dai famigerati ZAZ - Zucker-Abrahams-Zucker di Top Secret! e Una Pallottola Spuntata sarebbe entrata negli annali della comicità. Kyle mostra le terga ed entra in piscina con una bottiglia di champagne. Lei lo segue e - TRUCCATISSIMA - si inabissa. Tutti noi pensiamo che inizi a gonfiare il canotto ma no, lei gli passa sotto, sbuca dall’altra parte e, ancora TRUCCATISSIMA (come è possibile ciò? Ha usato l’eyeliner UniPosca?) inizia a cavalcarlo a bordo piscina. Solo che si fa leggermente prendere la mano e fa partire una serie grottesca di movimenti scattosi che provocano schizzi tipo elica di un fuoribordo; è come se lui percuotesse un cencio con un battitappeto sul bordo del fiume Gange, non so se rendo l’idea. Il contrasto è ancora più stridente se si ripensa alle doti scoperecce dimostrate da Kyle con la Rossellini in Velluto Blu e a quelle diametralmente opposte nella parte del marito impotente di Charlotte in Sex and the City. Ma qui, quando tutto finisce, lo spettatore resta inebetito, indeciso se scoppiare a ridere o provare pietà per la povera attrice. 
Purtroppo per lei, le colpe se le è prese tutte il regista troppo tardi, in un’intervista del 2013, in cui è lui stesso a dire: “Sono stato io a chiederle di recitare in quel modo. Eravamo convinti che fosse il ruolo giusto, ma ho sbagliato. La mia carriera è andata avanti lo stesso pur faticando un po’, ma la sua è stata proprio stroncata. Ed è un peccato, perché Showgirls è un film [udite udite!] CHE NON È STATO CAPITO dal pubblico.”
AAAAH!
Il pubblico: espressione un po' così.
Un po’ come Marty McFly davanti al pubblico anni ‘50 che, dopo aver suonato energicamente Johnny B. Goode e vista l’espressione esterrefatta della gente, dice: “Forse oggi non siete ancora pronti. Ma ai vostri figli piacerà.” (cit. Ritorno al futuro, per i debosciati che non l’hanno colta.)
No, caro Paul! Non solo hai diretto una solenne cagata, tu continui imperterrito a dirle! Showgirls è davvero un film brutto che non ha nulla di satirico o di denuncia contro la situazione delle spogliarelliste di Las Vegas. Vorrei poter tanto trovarci la feroce critica al sogno americano presente negli altri tuoi film, ma devo dire di aver fatto davvero molta fatica a vederla. Non mi sembra sufficiente il lasciar intendere: “Oh, il mondo dello spettacolo è una merda che succhia il sangue (e i soldi) ai papà di famiglia bigotti che di giorno fanno i perbenisti e di notte infilano banconote nelle mutande delle spogliarelliste. Un mondo schifoso dover per emergere tu devi essere il primo a fare schifo.” No, non basta, non è sufficiente perché il tema è solo sfiorato ed è poderosamente scavalcato (e cavalcato) dalle esibizioni della povera Berkley. Non puoi combattere l’idea della mercificazione del corpo femminile sbattendolo costantemente in primo piano senza una vera idea dietro. È solo una grottesca operazione senza né capo né coda, fatta solamente perché avevi un impegno precedente con la casa di produzione, ti sei ritrovato una sceneggiatura pagata a peso d’oro che nessuno poteva permettersi di buttare via, hai provato a bissare il successo di Basic Instinct con lo sceneggiatore Joe Eszterhas, hai cercato di salvare il salvabile ma, no, l’hai affondato definitivamente grazie alla tua direzione artistica. Volevi salvare Mario Kassar, il boss della Carolco, ma gli hai solo anticipato una inevitabile fine con colpi pelvici ben assestati. Poi il flop di Corsari nello stesso anno ha concluso degnamente l’opera demolitrice.

Da queste righe si può capire come questo film abbia fatto acqua da tutte le parti. Ergo è monnezza allo stato puro e, per forza di cose, arrivati a questo punto, bisogna porsi la domanda delle domande:

Showgirls è migliore o peggiore di Robotropolis?
Guardate il voto. Quello vero, intendo. Sì, gli è andato pericolosamente vicino. Di solito i film che competono con Robotropolis sono tutte produzioni low-budget dove nemmeno il genio o il guizzo di qualche idea permettono loro di emergere. Showgirls è il primo film di una major a giocarsi il titolo… ma ve l’ho detto, il tema di questa recensione è il FALLIMENTO. Sì, Showgirls fallisce pure ad essere peggiore di Robotropolis. Perché? Andiamo ai punti.
Trama: Showgirls è peggiore, indubbiamente. Di poco, eh.
Musica: Showgirls ha una buona colonna sonora (se hai un po’ di extra budget, è chiaro che puoi permetterti gli U2, tanto per dirne una, o David Bowie con I’m afraid of Americans, scelta invero azzeccata), Robotropolis non ce l’ha proprio.
Regia: se la giocano. La regia di Verhoeven è pulita, su questo non ci piove, si vede la bravura e i mezzi a disposizione. Ma ha l’aggravante della direzione artistica, che ha affossato il film. Quindi: pari.
Ritmo: Non mi sono addormentato, il che è già qualcosa. Showgirls in più ha un finale.
XXX: Beh. Vince Showgirls a man basse (e gambe alte)
Totale: Ai punti, con un bonus +0,5 per via delle tette di una maggior cura generale, Showgirls non è peggiore di Robotropolis. E un po’, devo ammetterlo, mi spiace.

Quello che Robotropolis non ha...

Conclusioni
Non riesco a trovare un singolo motivo per rispolverare questo filmaccio, a meno che non siate rimasti incastrati da una scommessa persa o da un guano di sfida ricevuto al quale non potete dire di no. Evitatelo (o guardatelo per ridere).
 
Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 2
Insensata, con personaggi completamente sbagliati come caratterizzazione. Sceneggiatura ridicola, dialoghi grotteschi e sopra le righe.
Musiche: 7
C’è una bella colonna sonora, non posso negarlo.
Regia: 4
I mezzi a disposizione ci sono, ma il regista ha totalmente sbagliato la direzione, rovinando, con i suoi scellerati consigli, l’interpretazione e la carriera della povera Berkley la quale, diciamolo, non è che brillasse di suo per intensità recitativa. Peccato, perché la fotografia è ottima, come il montaggio e la resa visiva generale.
Ritmo: 6
Se c’è una cosa che non manca è il ritmo, sia musicale, sia narrativo. Un punto in meno giusto per i troppi dialoghi idioti dove i personaggi si scambiano inutili giochi di sguardi languidi.
Violenza: 5
C'è una scena di stupro gratuita nei confronti dell'unico personaggio positivo, che vuole sottolineare come le cose nel mondo reale non vadano mai come si vorrebbe. La domanda è: In questo contesto, era proprio necessario?
Humour: 6
Intendiamoci. Il film è serissimo. Ma fa ridere, e pure male, per l'assurdità delle situazioni e dei dialoghi sopra le righe.
XXX: 8
Dai, un premio alle tette! Lasciatemi questo punteggione!
Voto Globale:
(.Y.)
Come voto dovrebbe bastare così, ma per le persone serie il voto reale è 3,5. Un film orribile paragonabile giusto ad una vetrina del quartiere a luci rosse di Amsterdam: esibizione ostentata ma senza contenuti. Intendiamoci: dal punto di vista visivo è un bel vedere, ma se ci si deve frantumare le palle per due ore giusto per guardare qualche tetta, meglio rivolgersi ad un mediometraggio Penthouse, giusto per fare un esempio vintage. Ehi! Non guardatemi male, sono stato adolescente pure io! Tornando a bomba sul film: bocciatissimo su tutta la linea, non vale la pena rispolverarlo, datemi retta. Molto meglio gli altri film americani del regista olandese: Robocop, Atto di forza e Starship Troopers (in quest’ultimo sì che funziona bene la satira antimilitarista che gli americani non hanno colto!)

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