giovedì 16 aprile 2015

Elephant White (2011) | Recensione

Elephant White
Voto Imdb: 5,1
Titolo Originale:Elephant White
Anno:2011
Genere:Azione
Nazione:Stati Uniti / Thailandia
Regista:Prachya Pinkaew
Cast:Djimon Hounsou, Kevin Bacon, Jirantanin Pitakporntrakul

Vah, che colori.
Recensione volante per Elephant White, un filmetto passato, forse giustamente, in sordina ma che ha qualche suo piccolo perché. Il protagonista è Curtie Church, interpretato dal buon vecchio Djimon Hounsou (ultimamente l'abbiamo visto in Fast & Furious 7). Siamo in Thailandia, Church è un killer professionista che uccide su commissione. Dato che ha una coscienza - distorta, d'altronde è un sicario - lui uccide solo persone brutte e cattive. Il suo ultimo incarico è apparentemente semplice: deve uccidere sei persone per 60.000$. Le future vittime fanno parte di una gang malavitosa invischiata in una torbida storia di prostituzione minorile (d'altronde siamo in Thailandia, vogliamo non parlare della sua grossa piaga sociale?); la gang sta vivendo un momento turbolento: il Grande Vecchio sa che non camperà a lungo e deve decidere chi sarà il suo successore: suo figlio (un vero inetto) o il fedele factotum, astuto come una faina e molto più affidabile? Mentre la risposta del quesito è evidente a tutti tranne che al Grande Vecchio, Church inizia a disseminare pallottole fra la gang. All'improvviso nel suo rifugio (il campanile di una chiesa - notare il cognome del protagonista: ah, queste fantastiche coincidenze di sceneggiatura!) fa la conoscenza di Mae (Jirantanin Pitakporntrakul), una quattordicenne vittima della gang, ex-prostituta in fuga e in cerca di protezione. Mae diventerà una sorta di guida spirituale per Church, che vede in lei una sorta di via per espiare il suo cammino fatto di bossoli e fucili da cecchino. Per inciso, Church sa che da solo non potrà mai farcela, e chiede l'aiuto di Jimmy l'Inglese (Kevin Bacon), trafficante d'armi un po' schizzato di cervello che non si capisce bene da che parte stia davvero (se stesso, quello sicuramente). Non racconto altro della trama, che non offre altri spunti interessanti nonostante ci sia un colpo di scena finale non indifferente. Che io, stranamente, avevo capito ben prima della rivelazione finale.
Il film riassunto in una inquadratura.
Ordunque, cos'ha di interessante questo film? Diciamolo subito: l'ho guardato esclusivamente perché mi è caduto l'occhio sul nome del regista, altrimenti l'avrei splendidamente ignorato. Prachya Pinkaew (anche stavolta sono riuscito a scriverlo senza fare copia e incolla! PAURA!) è un nome che è già comparso in questo blog, associato principalmente a Tony Jaa (anche lui presente in Fast & Furious 7) e al cinema di arti marziali thailandese: regista di Ong Bak, Chocolate, The Protector - la legge del Muay Thai, e produttore di Born to Fight - Nati per combattere. Tutti film profondamente thailandesi, basati su una forte componente action, con acrobazie ai limiti del suicidio da parte degli stunt man, trama vicina al nulla cosmico (Chocolate a parte) e ralenty inseriti fastidiosamente a raffica per sottolineare i momenti più eclatanti. Elephant White è il suo primo film di produzione (anche) statunitense, con attori di una certa notorietà e girato in lingua inglese: inutile nascondere la mia curiosità. Purtroppo, come temevo, il risultato non è stato esaltante. Questo destino sembra comune a molti registi asiatici quando cercano di sfondare nel mercato americano; il primo nome che mi è venuto in mente è John Woo, che al primo tentativo americano se ne uscì con Senza Tregua, a mio avviso decisamente inferiore alle sue produzioni precedenti di Hong Kong e a quelle hollywoodiane successive. Il ritmo di Elephant White, per quanto buono, non è minimamente ai livelli di The Protector o Ong Bak; le scene d'azione sono centellinate e non hanno quella sana nota autolesionista citata precedentemente, sia a causa dei maggiori limiti imposti dalla produzione americana che a causa del fatto che il protagonista è un cecchino e non un mischiatore d'ossa altrui. Djimon Hounsou e Kevin Bacon svolgono il compitino senza eccellere (fra i due, un pelo meglio Bacon nonostante non sia minimamente credibile nella parte di un britannico). La fotografia è molto buona, i colori sono insolitamente vivaci e rendono bene la Bangkok dalle due facce dipinta dal regista: quella sgargiante di giorno e quella oscura e malavitosa di notte. Tutta la trama, che procede in modo lineare e senza sussulti, è imperniata su questo famoso colpo di scena finale che dà un altro senso al film (e alla vita del protagonista), ma che lascia non tanto interdetti, quanto con quella sottile sensazione di presa pel culo. Ah, dato che il film è thailandese, non poteva non comparire un enorme elefante bianco, protagonista di un metaforone che non ho capito, al centro di una scena insensata e inopinato oggetto del titolo del film. Eppoi non c'è nemmeno Tony Jaa a difendere l'onore perduto degli elefanti! In conclusione: un titolo dimenticabile, da guardare giusto se avete voglia di completare la filmografia di un regista abituato a regalarci scene d'azione di ben altro spessore. Un'occasione sprecata.

Intenso primo piano di Mae, interpretata da
attrice-dal-nome-impronunciabile-uscito-da-una-gag-di-aldo-giovanni-e-giacomo

Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 6
Uhm. Meh.
Musiche: 6,5
Solito electro-strano dei film di Pinkaew. A me non è dispiaciuto, ma i miei gusti sono orribili.
Regia: 6,5
Non male. La qualità visiva, dato anche il budget a disposizione, è buona.
Ritmo: 7
Un paio di buone scene, quelle corali dove scatta qualche rissa ed un inseguimento per le vie della città.
Violenza: 6
Sei di stima, perché il marchio di fabbrica del regista è presente. Ma si poteva fare meglio.
Humour: 5
La spalla comica è Kevin Bacon, il che è tutto dire.
XXX: 5
C'è un bordello, ma non è che si veda chissà che.
Voto Globale: 5
Occasione sprecata, film dimenticabile.

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