venerdì 2 settembre 2016

Gene Wilder (1933-2016): un mio piccolo tributo per ricordarlo




Segni particolari: non bello, diciamolo, ma intensi occhi azzurri, sguardo sornione, capelli biondi e ricci, naso aquilino. Un uomo tranquillo, ma capace di spiazzare con una battuta sarcastica, proprio come i suoi personaggi: persone normali catapultate in situazioni anormali. Con alcune brillanti, memorabili eccezioni.
Provate a chiedere a chiunque: "Se dico Gene Wilder, tu a cosa pensi?"
La risposta, frutto di una opinabilissima convinzione personale, sarà più che probabilmente associata ad uno di questi tre film:
  • Frankenstein Junior (55%)
  • Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (35%)
  • La donna in rosso (10%)
Mi sono anche sbilanciato: ho messo fra parentesi una mia stima in percentuale del tutto arbitraria.

I protagonisti da lui interpretati sono tre personaggi diversissimi tra loro: un genio, un eccentrico e, appunto, un normale come me e te, amico lettore che leggi.

Senza aver la pretesa di scrivere una biografia / filmografia ragionata su questo grande attore, il mio è più un tentativo di ricordarlo attraverso qualche film che sia diverso dai cult che, a ragione, tutti noi ricordiamo, parlando in particolare della sua collaborazione con l'attore Richard Pryor.
Gene Wilder (nome d'arte di Jerome Silberman), proveniente da una famiglia di ebrei russi, è nato a Milwaukee (Wisconsin, Stati Uniti) nel 1933 ed è morto a Stamford (Connecticut, Stati Uniti) il 29 agosto 2016. Dopo essere riuscito ad entrare nell'Actors Studio e dopo un'iniziale gavetta a teatro, ottiene il primo ruolo cinematografico nel film Gangster Story (Bonnie and Clyde, 1967). La svolta della sua carriera avviene grazie all'incontro con Mel Brooks, conosciuto già ai tempi del teatro. Insieme si lanciano su Per favore, non toccate le vecchiette: esordio come co-protagonista per Gene e come regista per Mel. Tralasciando il discorso sul titolo italiano (quello originale è The Producers, 1968), la storia di due produttori di Broadway che si convincono che creare un fiasco colossale sia grandiosamente remunerativo spendendo meno del minimo sindacale per intascarsi i costi di produzione e che quindi decidono di produrre quello che a detta loro sarà il peggiore spettacolo di sempre, fa sì che Mel vinca l'Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale e Gene ottenga la nomination per il Miglior Attore non protagonista. Non male come debutto!
Dopo altri film che non nomino perché non li ho visti e/o non ricordo (sono onesto!) arriviamo al 1971: è l'anno del primo grande cult Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato; originariamente il film fu un insuccesso, secondo Wiki perché le famiglie - target dichiarato del film - non apprezzarono il taglio cinico e surreale che permeava l'intera pellicola; probabilmente doveva esserlo per gli standard americani, perché se si pensa alle fiabe dei fratelli Grimm, i bambini tedeschi assimilavano storie ben più truci. Per i trentenni e quarantenni di oggi, Willy Wonka è invece un cult imprescindibile e da un suo fotogramma è nato un gettonatissimo meme che sicuramente molti bimbiminkia di oggi usano senza nemmeno sapere di cosa si stia parlando. Degno di menzione - solo quella - il remake di Tim Burton con Johnny Depp del 2005: a mio giudizio appena passabile, visto anche quanto poco io apprezzi il regista (leggere recensione di Dark Shadows per avere un'idea), ma di grande successo al botteghino. Facciamo un balzo al 1974: è l'anno dei grandi successi grazie a due film usciti a breve distanza l'uno dall'altro, entrambi diretti da Mel Brooks; Mezzogiorno e mezzo di Fuoco (Blazing Saddles) e, soprattutto, Frankenstein Junior (Young Frankenstein). Non mi dilungherò a parlarne, il secondo è una miniera di gag e frasi di culto che chiunque della mia generazione è in grado di recitare a memoria. Il merito, va detto, non è solo di Mel e Gene, o della geniale sceneggiatura scritta da entrambi su idea di partenza di Gene, ma anche di Marty Feldman, che nel ruolo del servo Igor entra di diritto nell'immortalità cinematografica. Mi si permetta di aggiungere un ulteriore fattore: il fantastico adattamento in italiano di un copione ricco di battute linguistiche molto difficili da rendere; il merito va tutto a Roberto De Leonardis (traduttore ed adattatore) e a Mario Maldesi (direttore del doppiaggio e dialoghista), che alleggerì e rese geniali alcune battute altrimenti tradotte in senso troppo letterale. Questo è probabilmente il motivo per cui Frankenstein Junior ebbe il maggior successo nei paesi anglofoni e... in Italia.
Arriviamo finalmente al 1976, il motivo principale per cui ho deciso di scrivere questo lungo pezzo. Perché per me Gene Wilder non è solo l'uomo dagli occhi spiritati che urlò "SI PUO' FARE!", ma è anche l'imbranato viaggiatore catapultato in una storia d'azione e romanticismo che in molti dovrebbero rispolverare. Sto parlando di Wagon-Lits con omicidi, diretto da Arthur Hiller. 
Arthur Hiller
Ah, i tristi casi della vita: il regista Arthur Hiller è mancato pochi giorni prima di Gene Wilder, il 17 agosto 2016 a 92 anni; la notizia della sua scomparsa è stata riportata sui maggiori quotidiani nazionali, ma l'eco è stata sicuramente minore, diciamo pure che se lo sono calcolato in pochi. Famoso soprattutto per il film strappalacrime Love Story (1970), Hiller si è fatto le ossa con diversi episodi della serie Alfred Hitchcock presenta e, fra la trentina di film da lui diretti, due ci riguardano da vicino: Wagon-Lits con omicidi, appunto (Silver Streak, 1976) e Non guardarmi: non ti sento (See No Evil, Hear No Evil, 1989). Questi due film, insieme a Nessuno ci può fermare (Stir Crazy, 1980) e Non dirmelo... non ci credo (Another You, 1991), sono quelli che Gene Wilder ha interpretato in coppia con Richard Pryor, formando con lui un binomio di successo quasi pari a quello con Mel Brooks.

Wagon lits con omicidi: parte del cast

Wagon-Lits con omicidi - Una minirecensione
Il Silver Streak è un treno che percorre la tratta Los Angeles - Chicago in tre giorni e tre notti. George Caldwell (Gene Wilder) ha paura dell'aereo, non ama viaggiare ed è per la prima volta su un treno; è un uomo tranquillo, divorziato, e deve raggiungere Chicago per il matrimonio della sorella. I suoi propositi sono semplici: leggere e approfittare della quiete per portare avanti il suo lavoro di editor di libri e manuali. A bordo incontra Bob Sweet (Ned Beatty), un venditore di vitamine, che sfrutta il viaggio in treno per sfondarsi di alcool e rimorchiare le donne passeggere perché, a detta sua, chi viaggia in treno cerca giusto un'avventura fugace; una versione romantica della turista tedesca in riviera romagnola, per intenderci. Fin qui tutto bene, ma presto arrivano i guai: Bob fallisce clamorosamente l'approccio con una splendida ragazza, Hilly Burns (Jill Clayburgh), che invece si invaghisce ricambiata proprio di George, colpita dalla sua eleganza, le buone maniere e l'arguzia. Si può credere o meno ai colpi di fulmine e agli incontri speciali riservati dal destino, ma questo sembra essere proprio un caso da manuale: George e Hilly si piacciono e passano la prima notte insieme; proprio quando l'atmosfera inizia a farsi più hot, George vede il cadavere di un uomo cadere dal treno, passando davanti al loro finestrino. Tutto precipita in poco tempo: Bob Sweet in realtà non è un venditore di vitamine ma un agente federale e l'uomo ucciso sembra essere proprio il professore di cui Hill è segretaria; nel frattempo, brutti sgherri si aggirano per il treno in ricerca di qualcosa in possesso del luminare deceduto. George, suo malgrado, viene sballottato in una avventura ricca di intrighi alla Hitchcock-maniera: per tre volte scende dal treno contro la sua volontà e per tre volte riesce a risalirci sopra prima di concludere il viaggio. Scaraventato fuori la prima volta da Reace, il gigante con i denti di acciaio che rivedremo anche in due 007 nel ruolo di Jaws (La Spia che mi amava, 1977 e Moonraker Operazione Spazio, 1979); caduto dal tetto del treno la seconda volta, inciampato sul classico semaforo mobile delle ferrovie; lanciatosi giù dal ponte in un fiume la terza volta per sopravvivere ad una sparatoria. Memorabile la sua esclamazione "Porca puttana!" ("Son of a bitch!" in originale) che George urlerà ad ogni caduta dal treno.
Durante uno dei suoi tentativi di risalire a bordo, ad un'ora abbondante dal'inizio del film, George incontra il nero Grover (Richard Pryor), di professione: ladruncolo da strapazzo. I due stringeranno una forte amicizia e si daranno man forte per salvare la ragazza dalle grinfie dei criminali. Senza nulla spoilerare sul destino dei nostri eroi anche se ho già rivelato fin troppo, voglio comunque sottolineare come il folle viaggio del Silver Streak si concluda a velocità smodata contro la stazione di Chicago in una scena altamente spettacolare che mai mi sarei immaginato di vedere in un film del genere.
Wagon-lits con omicidi è un film strano e, per certi versi, atipico. Ha il ritmo compassato della commedia, contiene alcune ingenuità di sceneggiatura soprattutto nei confronti del cattivo Deverau, ma ha dalla sua alcuni punti di forza che lo rendono un film godibilissimo anche a distanza di quarant'anni dalla sua uscita:
  • Il connubio Gene Wilder - Richard Pryor funziona alla grande (questo è di fatto il primo buddy movie interrazziale della storia del cinema) e alcune scene che li riguardano sono davvero esilaranti, su tutte quella in cui Grover traveste George da nero per sfuggire alla polizia;
  • I dialoghi sono ben scritti, ricchi di battute fulminanti e situazioni ai limiti dell'assurdo; l'incontro di George con uno sceriffo imbecille come pochi mi fa ridere ogni volta che lo rivedo;
  • Non è propriamente un film politically correct, sia come linguaggio che come uccisioni mostrate su schermo;
  • Come accennato, il ritmo del film non è travolgente come si può immaginare, ma la scena finale è senz'altro memorabile;
  • La colonna sonora di Henry Mancini è di sicuro impatto;
  • Così come gli occhi azzurri di Jill Clayburgh.
Jill Clayburgh
Il film fu un ottimo successo commerciale; giusto per dare un termine di confronto, nello stesso anno uscì Cassandra Crossing, un catastrofico pieno di star - così come andava in voga in quegli anni - ambientato su un treno in viaggio per l'Europa: nonostante la presenza di attori del calibro di Richard Harris, Sophia Loren, Martin Sheen, Burt Lancaster, Ava Gardner, OJ Simpson e Alida Valli, recuperò a malapena le spese di produzione, e solo grazie al successo avuto in Giappone (!).



Forti del successo di Wagon-lits, Wilder e Pryor girarono altri tre film, così come ho anticipato prima:

Nessuno ci può fermare (1980)
Curioso il fatto che a dirigerlo fu Sidney Poitiers, il primo attore afro-americano a vincere un Oscar. Tra i film della coppia, fu quello che in assoluto incassò di più (oltre 100 milioni di dollari solo negli Stati Uniti, dove fu il terzo maggiore incasso del 1980, anno dominato da L'impero colpisce ancora). Skip e Harry sono due disgraziati disoccupati che partono verso Hollywood in cerca di fortuna; incontrano dei personaggi molto loschi nonché improbabili con i quali organizzano una rapina che, però, va male e vengono tutti arrestati e condannati a 125 anni di carcere. La storia è un susseguirsi di situazioni assurde e grottesche con i protagonisti che cercano di evadere in tutti i modi; scopriremo insospettabili abilità nel rodeo meccanico, chirurghi che castrano accidentalmente i pazienti, secondini sadici e carcerati enormi e cattivissimi. Il film funziona molto bene, così come l'alchimia tra i due protagonisti Wilder - Pryor, al punto che le loro scene più riuscite furono per lo più improvvisate sul set durante le riprese. Il merito del successo va ripartito tra la complicità dei due attori principali, la follia che pervade l'atmosfera dell'intera pellicola e la bravura del regista nel pattinare sul filo del vaffa a causa delle bizze da star che cominciarono a caratterizzare Richard Pryor, ridottosi sempre peggio per colpa degli abusi di cocaina a cui l'attore aveva iniziato a lasciarsi andare. Lo stesso Wilder, nella sua autobiografia Baciami come uno sconosciuto. La mia ricerca dell'amore e dell'arte (scritto nel 2005, pubblicato in Italia da Edizioni Sagoma, 2010, prefazione di Mel Brooks), dichiarò che Richard fece letteralmente impazzire Sidney perché cominciò ad arrivare sul set sempre più tardi, fino ad un'ora per ogni ripresa; litigava con i membri dello staff e li accusava di razzismo. Una volta si rifiutò di partecipare ad un ciak fino a quando un operatore non fosse stato licenziato, reo di avergli lanciato per sbaglio sul piede un pezzo di anguria. Per Richard Pryor, reso paranoide della cocaina che sniffava ogni notte, quel lancio fu un affronto terribilmente razzista ed imperdonabile, perché in America i neri erano vittime di uno stereotipo per il quale "solo i negri mangiano angurie".

Squadra che vince, non si cambia: due anni dopo la produzione cercò di riunire il regista e la coppia di attori per girare un nuovo film che bissasse il successo di Nessuno ci può fermare; tutto era pronto, ma all'ultimo Richard Pryor declinò per motivi mai chiariti e la sceneggiatura fu riscritta in modo che il suo personaggio diventasse una donna (interpretata dall'attrice Gilda Radner, diventata successivamente moglie di Gene Wilder) che si innamorerà del protagonista. Quando Hanky Panky - Fuga per due (Hanky Panky, 1982) uscì al cinema, fu però un clamoroso insuccesso al botteghino e lo stesso Gene dichiarò successivamente che quello fu, probabilmente, il peggior film a cui avesse mai partecipato. Io lo vidi anni fa in tv e ne ho un ricordo molto vago: l'impressione che ebbi ai tempi fu quella di un film sconclusionato e infinitamente meno comico di quello che avrei sperato viste le premesse.

Non guardarmi non ti sento (1989)
L'anno successivo si ripresentò una nuova occasione di riunire Gene Wilder e Richard Pryor: il film è il cult natalizio Una poltrona per due (Trading Places, 1983) - non è vera vigilia di Natale se Italia 1 non lo trasmette! - Qui avvenne uno di quegli strani sliding doors di cui la storia del cinema è ricca: durante la fase di pre-produzione, Richard Pryor ebbe un grave incidente. A causa dei lunghissimi tempi di riabilitazione previsti, al suo posto fu scritturato Eddie Murphy che pose una condizione: sostituire Gene Wilder perché Eddie non aveva intenzione di passare per il sostituto sfigato di Pryor; venne quindi scritturato Dan Aykroyd e il resto è storia.
Per ricomporre il duo Wilder-Pryor si dovette aspettare fino al 1989: anno in cui finalmente si ricompose il trio vincente di Wagon-lits con omicidi: la coppia di attori e il regista Arthur Hiller. Il film narra le vicende di Dave (Wilder) e Wally (Pryor), due disabili - il primo è sordo, il secondo è cieco - che per un caso fortuito sono gli unici testimoni di un omicidio avvenuto nel negozio di Dave. Il problema, così recita lo slogan del film, è che il sordo non ha visto e il cieco non ha sentito! La polizia, non credendo alla loro versione, li arresta ingiustamente; prima di essere incarcerati, i due riescono a sfuggire grazie all'aiuto di Adele, sorella di Wally; da questo momento, i due poveracci saranno coinvolti in un intrigo generato dalla presenza dei sicari, di una moneta d'oro che questi cercano, e dei tentativi goffi del duo di scoprire la verità per riabilitarsi.
La formula della sceneggiatura ricalcò palesemente quella di Wagon-lits e il pubblico diede ragione ai produttori perché Non guardarmi non ti sento fu un grande successo al botteghino. Ancora una volta, l'alchimia tra i due attori funzionò egregiamente e, complice la mano del regista in grado di imbrigliarli nel modo giusto, il risultato finale fu ottimo: il film resta godibile ancora oggi e scorre via tra gag esilaranti intervallate da inseguimenti ed uccisioni a mettere un po' di pepe sulla storia. La scena in cui il nero Wally viaggia in metropolitana e finge di scoprire di essere un nero vale tutto il film (non a caso, fu inserita nel trailer). Recuperatelo, non ve ne pentirete.

Non dirmelo... non ci credo (1991)
Tanto mi piacque il film precedente che non vedevo l'ora di rivedere il duo nuovamente in azione; ricordo che mi precipitai al cinema quando Non dirmelo... non ci credo uscì due anni dopo. Purtroppo la visione fu per me una cocente delusione: il film mi lasciò con tanto amaro in bocca perché trovai la performance degli attori molto al di sotto delle loro capacità; allora non sapevo che Richard Pryor fosse affetto da sclerosi multipla, e nel film i segni della malattia intaccarono negativamente e visibilmente la sua performance; e ancora non sapevo che questo film sarebbe stato l'ultima fatica cinematografica di Gene Wilder, che apparve successivamente giusto in qualche film-tv o in alcuni episodi di serie televisive (la più famosa fu in Will & Grace nel 2002), ma che mise comunque la parola fine al cinema anche a causa dei flop commerciali dei suoi ultimi lavori. L'idea di fondo del film non era nemmeno male: il nero Eddie è un truffatore e campa fregando il prossimo; condannato ai servizi sociali, deve prendersi cura di George, uscito dal manicomio nonché contapalle patologico al punto da non sapere mai se stia dicendo la verità o stia raccontando una storia inventata. Un giorno un tizio ferma George per strada e lo scambia (intenzionalmente...) per Abe Fielding, un uomo fortunato destinato ad ereditare una grossa fortuna. L'obiettivo del tizio è chiaro: far credere a tutti che George è davvero Abe per poi ucciderlo ed intascarsi l'eredità. L'intervento di Eddie scombinerà tutti i piani e darà il via alle rocambolesche vicissitudini dei due mentitori seriali. Purtroppo per il film, il suo problema è una... stanchezza di fondo. Gli attori mancano di verve e nel film latita una vera guida; il regista originario Peter Bogdanovich fu addirittura sostituito dopo cinque settimane di riprese. A detta del regista silurato, il problema furono le continue tensioni sul set: secondo Peter, Gene Wilder si era convinto che la troupe fosse eccessivamente concentrata su Pryor a causa della malattia. Lo stesso regista affermò poi che questa sorta di gelosia di Wilder spinse l'attore a fare pressioni affinché ci fosse un cambio alla regia, cosa che appunto avvenne. 


Probabilmente non sapremo mai la verità e mi riesce difficile credere ad un lato così meschino della personalità di Gene Wilder; un passo scritto direttamente da lui nella sua autobiografia ci fa però capire alcune cose: contrariamente a quello che molti potevano pensare guardandoli su schermo, lui e Richard non furono mai amici fuori dal set. Per rincarare la dose, Gene usa queste parole: "Per tutto il tempo in cui lavorammo insieme, [Richard] fu una persona piuttosto sgradevole con cui passare il tempo. Lottava contro i suoi problemi con la droga e non aveva intenzione di coltivare amicizie al di fuori del set."
Quando ho letto questo passaggio, ci sono rimasto male: i due insieme funzionavano davvero bene e mai si sarebbe potuto immaginare quanto invece fossero difficili i rapporti tra loro. A pensarci bene, è successo l'opposto con Mel Brooks: anche se smisero di collaborare professionalmente nel 1974 con Frankenstein Junior, i due restarono molto amici nella vita privata e continuarono a frequentarsi anche successivamente. 

Chi più spende... più guadagna! (1985)
Piccola digressione. Di Richard Pryor voglio citare, prima di continuare, un film che ho sempre adorato nonostante sia ritenuto poco significativo e fosse stato un gran bel flop: Chi più spende... più guadagna! (Brewster's Millions, 1985). Diretto dal grande Walter Hill (il regista de I Guerrieri della notte e della commedia action 48 ore), racconta la storia di Monty, un giocatore di baseball di una squadra sfigatissima di infima categoria che un giorno si scopre essere erede di un vecchio miliardario. Il notaio del vecchio deceduto lo contatta e, seguendone le ultime volontà, gli propone una scommessa: Monty può ereditare uno spropositiliardo di soldi a patto che riesca a spendere 30 milioni di dollari in un mese per poi rimanere senza un centesimo l'ultimo giorno; se fallisce, non vincerà nulla e l'eredità andrà tutta in beneficenza. L'alternativa è non accettare la scommessa ed intascarsi un milioncino piccino picciò. Monty, ovviamente, fa esattamente quello che avrei fatto io al suo posto: accetta. Purtroppo si rende conto che le cose non sono poi così facili: non può donare o buttare soldi, non può perdere tutto in scommesse, non può acquistare quadri per distruggerli e, soprattutto, non deve rivelare a nessuno il motivo di tutte le spese folli che dovrà sostenere, pena l'annullamento della scommessa. Diventa molto carino assistere ai modi che Monty si inventerà per riuscire a spendere tutti quei soldi in un lasso di tempo relativamente breve. In mezzo ovviamente c'è un interesse amoroso e qualche cattivo che gli metterà il bastone tra le ruote, più qualche piccolo colpo di scena innocuo e telefonato che dà un senso di completezza al tutto.
La commedia non è il punto forte di Walter Hill, tanto che la sua mano è praticamente invisibile. Onestamente però non mi spiego le ragioni del suo insuccesso e del fatto che sia un film così sottovalutato, perché pur non essendo un capolavoro, la storia scorre via veloce, gli spunti della sceneggiatura sono anche fantasiosi ed interessanti (nonostante la storia originale risalga ai primi anni del '900) e Richard Pryor e John Candy hanno svolto egregiamente il loro lavoro di attori brillanti. Certo, le trovate a volte sono assurde e poco plausibili, ma siamo nel regno della commedia e a mio parere tutto è concesso a patto che non si mandi la storia veramente in vacca, cosa che qui non è avvenuta. Ed è impossibile non immedesimarsi nel protagonista, perché anche a voi verrà voglia di fantasticare e domandarvi: "Al suo posto, come li avresti spesi quei soldi?". Anche in questo caso, datemi retta: fate almeno un tentativo di guardarlo.

Gene Wilder da regista
Prima di chiudere, una postilla: Gene Wilder non fu soltanto un grande attore, ma anche un fine sceneggiatore e un bravo regista. I film da lui diretti ebbero fortune alterne per critica e botteghino: da questo punto di vista per Gene non esistevano mezze misure, o avveniva la stroncatura solenne o scattava il botto di incassi.
L'esordio alla regia fu con Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (The Adventure of Sherlock Holmes' Smarter Brother, 1975). La parodia del genere crime/investigativo funzionò molto bene e si ripresentò al pubblico un'accoppiata di sicuro effetto: Gene Wilder e Marty Feldman, il primo nel ruolo del fratello di Sherlock Holmes, il secondo in quello dell'aiutante dotato di una memoria fotografica prodigiosa.
Il secondo film diretto da Wilder fu Il più grande amatore del mondo (The World's Greatest Lover, 1977) e fu stroncato dalla critica nonostante il successo al box office; lo stesso Wilder affermò che, col senno di poi, non avrebbe fatto alcune scelte che hanno reso il film meno incisivo di quanto avrebbe sperato, soprattutto si pentì di aver reso il protagonista come un nevrotico mentre avrebbe dovuto essere un uomo normale, in cui lo spettatore avrebbe potuto immedesimarsi meglio. La normalità, come ho detto più volte, è il tema portante della sua idea di attore e personaggio funzionale.
Arriviamo finalmente a La signora in rosso (The Woman in Red, 1984): anche questo ebbe accoglienza fredda da parte della critica ma incassò un fantasiliardo rispetto a quanto speso, ed ebbe l'indubbio pregio di far conoscere a tutti la splendida attrice-modella Kelly LeBrock: la scena della grata e della gonna (qui rossa) che si solleva citando Marilyn Monroe entrò nella storia del cinema e nell'immaginario collettivo degli anni '80. Film molto furbo, ha anche una bellissima colonna sonora in linea con il sound synth di quegli anni, inclusa la hit di successo I Just Called to Say I Love You di Stevie Wonder, vincitrice dell'Oscar come Migliore Canzone. Con La signora in rosso Wilder tornò ad interpretare un uomo normale che si innamora pazzamente di una donna tanto bella da risultare irraggiungibile a noi comuni mortali. I suoi tentativi di approccio, talvolta disastrosi talvolta ridicoli, fecero sorridere intere generazioni di sfigati che si identificarono in questo antieroe della quotidianità.

Scena entrata nella storia del cinema...
L'ultimo film diretto da Wilder fu Luna di miele stregata (Haunted Honeymoon, 1986), qui la coppia è Wilder con la moglie Gilda Radner. Il film comico narra le vicende di Larry e Vicky, due presentatori radio appassionati di gialli e storie del crimine e del sovrannaturale; convolati a nozze, vanno nella villa di famiglia dove ne succedono di tutti i colori a causa della pro-zia Kate (un grande Dom DeLuise) e del cugino Charles (Jonathan Pryce, che oggi conosciamo come l'Alto Passero in Il Trono di Spade). Nonostante le premesse, il risultato eccessivamente farsesco e goliardico contribuì al fallimento clamoroso del film, che non recuperò nemmeno i soldi spesi in produzione.

Note finali
Gene Wilder fu un uomo da molte sfaccettature e da una personalità forte e magnetica allo stesso tempo. Spesso amava raccontare che nella vita privata non si riteneva per nulla divertente come invece appariva nei film. La sua non fu una vita facile, segnata da divorzi, malattie gravi e lutti che avrebbero segnato chiunque. Lui ebbe la forza e la dignità di mostrarsi sempre col sorriso, lo stesso che sullo schermo conquistò gli spettatori di ogni età. L'idea di essere considerato una leggenda grazie alle sue interpretazioni più famose quasi non lo sfiorava. Solo una volta, e io mi trovo pienamente d'accordo con le sue parole, fece una dichiarazione sopra le righe: "Fare il remake di Willy Wonka non ha il minimo senso; mi piace Johnny Depp, mi piace molto, ma non credo che mai guarderò questo film. È un errore, è un insulto. È tutto e solo una questione di soldi, la gente si siede e si chiede: come facciamo a fare più soldi?"
Io, romanticamente, provo a leggere fra le righe del suo pensiero, espresso peraltro in modo molto netto e preciso: il suo non fu il rifiuto di vedersi sostituito da un altro attore, sono anzi convinto che il senso del suo discorso fosse un altro. Che bisogno c'era di rifare un film (im)perfetto diventato cult? L'ho visto più come un grido disperato contro la cronica crisi di idee di Hollywood, che la porta a scegliere la strada dei soldi facili senza sprecare tempo ed energie per creare qualcosa di nuovo ed originale.
Per questo, da parte mia non possono che esserci ringraziamenti per averci donato personaggi e battute da conservare nella memoria collettiva.
Grazie, Gene.

4 commenti:

  1. Ciao e... bentornato! ;-)
    Sono felice che la pubblicazione abbia ripreso (vedo ora anche la recensione di Sharknado 4), peccato solo per l'occasione.
    Ho comunque apprezzato molto il pensiero di ricordare Gene Wilder, cosa che peraltro mi ha permesso di allargare anche unpo' la prospettiva che avevo su di lui ed i suoi lavori.

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    1. Ciao Bruno, ti ringrazio per il bentornato :-)
      Soprattutto, mi fa piacere che il mio ricordo di Gene Wilder sia stato apprezzato, è un pezzo a cui tengo particolarmente. Buon proseguimento :-)

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  2. Il finale di questo articolo la dice lunga sulla grandezza di uomo che non si è mai piegato alle regole dello show business e nel corso della sua vita ha fatto solo quello gli piaceva: recitare. Un artista a tutto tondo che ha trovato la sua oasi felice sul palcoscenico o sul set, nascondendo quella tristezza (dovuta purtroppo a diversi eventi brutti che ha vissuto durante l'infanzia e poi negli anni successivi, fino alla morte di Gilda) che da sempre lo ha caratterizzato. Io personalmente sono cresciuta con i suoi film, quelli più celebri e le cose minori, uno dei pochissimi che mi ha segnato profondamente e del quale ne sarò eternamente grata per quello che mi ha donato. Il suo essere ebreo e mitteleuropeo (alla fine le origini erano quelle, nonostante sia nato e cresciuto in America) si notava palesemente nel suo modo di recitare, elegantissimo, originale e a volte abbastanza introspettivo. Grande Gene e complimenti per l'articolo!! Ciao!!

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    1. Ciao Sonia e grazie per la tua testimonianza, mi ha fatto davvero molto piacere leggerla. Sottoscrivo ogni tua parola!

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